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Strage di Odessa. La Corte europea accusa dei neonazisti ucraini? Ecco cosa dice veramente la sentenza

18 Marzo 2025 - 14:45 David Puente
I propagandisti filorussi gioiscono, ma la CEDU attribuisce le colpe della strage proprio alla propaganda del Cremlino

Una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) viene utilizzata per sostenere che la strage di Odessa sia stata interamente opera degli attivisti pro-Maidan, descritti dalla propaganda russa come neonazisti. La decisione della Corte è stata presentata come una vittoria della fazione filorussa contro l’Ucraina, rafforzando di fatto la propaganda del Cremlino. In realtà, la sentenza dice tutt’altro.

Per chi ha fretta

  • La CEDU ha riconosciuto le colpe delle autorità ucraine nel non essere intervenute per fermare le violenze e per non aver garantito un soccorso tempestivo. Inoltre, accusa le autorità di non aver condotto un’indagine efficace sugli eventi.
  • La Polizia ucraina viene accusata non solo di inadeguatezza, ma di essersi prestata alle violenze in quanto alcuni agenti e ufficiali indossavano lo stesso nastro adesivo rosso usato dai manifestanti anti-Maidan (filorussi) come segno di riconoscimento. Il vicecapo della Polizia, dopo la strage, è scappato in Russia.
  • La Corte sostiene che la causa delle violenze è derivante dalla propaganda russa che aveva diffuso false notizie sui manifestanti pro-Maidan, accusati di essere nazisti.
  • La Corte, infine, sostiene che le colpe dell’incendio del Palazzo dei Sindacati sia da attribuire ad entrambe le fazioni per il lancio di molotov. La CEDU specifica che i primi a lanciare le molotov furono gli attivisti anti-Maidan contro i pro-Maidan.

Analisi

Ecco una delle immagini che circolano sulla vicenda. Nel testo leggiamo: «Bruciati vivi dai neonazisti: UCRAINA CONDANNATA – Cosa diranno i “crociati della democrazia” nostrani?».

La strage di Odessa

La strage di Odessa viene spesso citata per sostenere e giustificare l’invasione russa dell’Ucraina. L’episodio avvenne il 2 maggio 2014, in un periodo successivo alle proteste di Maidan contro il governo filorusso di Viktor Yanukovych. Dopo la caduta del governo, in alcune città del sud e dell’est dell’Ucraina, tra cui Odessa, si formarono movimenti filorussi e separatisti.

Le tifoserie delle squadre di calcio Chornomorets Odessa e Metalist Kharkiv organizzarono una marcia a favore dell’unità dell’Ucraina, in risposta ai separatisti.

Sui social iniziarono a circolare contenuti che descrivevano l’iniziativa come neonazista, incitando le persone a reagire contro i manifestanti. Ne seguirono scontri violenti tra le fazioni pro-Maidan e anti-Maidan, causando inizialmente la morte di sei persone.

Dopo aver dato il via agli scontri, gli attivisti anti-Maidan si barricarono all’interno del Palazzo dei Sindacati di Odessa, lanciando molotov dall’alto contro la fazione pro-Maidan. In risposta all’attacco, gli attivisti pro-Maidan lanciarono a loro volta delle molotov contro l’edificio. L’incendio causato da questi scontri causò la morte di 42 persone.

Secondo la narrazione diffusa dalla propaganda del Cremlino, 42 persone anti-Maidan sarebbero state bruciate vive dai neonazisti ucraini all’interno del Palazzo dei Sindacati di Odessa.

La sentenza

La sentenza è stata comunicata il 13 marzo 2025 sul sito del CEDU con la seguente “sintesi”:

Nel caso di Vyacheslavova e altri contro Ucraina, la Corte ha ritenuto che vi erano state violazioni del diritto alla vita/all’indagine a causa del fatto che le autorità non avevano fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per prevenire la violenza a Odessa il 2 maggio 2014, per fermare tale violenza dopo il suo scoppio, per garantire tempestive misure di salvataggio per le persone intrappolate nell’incendio e per istituire e condurre un’indagine efficace sugli eventi. Ha inoltre ritenuto che vi era stata una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare nei confronti di una ricorrente in merito al ritardo nella consegna del corpo di suo padre per la sepoltura.

Scaricando il documento allegato, troviamo la spiegazione della decisione presa dai giudici e riguardo a quali aspetti della strage di Odessa.

Cosa dice la sentenza

La sentenza non sostiene che la colpa della strage sia da attribuire a dei filonazisti o agli ucraini antagonisti ai filorussi.

Sono due le violazioni attribuite all’Ucraina: l’articolo 2 (diritto alla vita) e l’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La sentenza riconosce che le autorità non avevano fatto il possibile per prevenire e fermare la violenza a Odessa, così come non avevano fatto il possibile per garantire un soccorso tempestivo durante l’incendio presso il Palazzo dei Sindacati («the relevant authorities’ failure to do everything that could reasonably be expected of them to prevent the violence in Odesa on 2 May 2014, to stop that violence after its outbreak, to ensure timely rescue measures for people trapped in the fire», pagina 1 del documento).

La Corte ha ritenuto che l’Ucraina non abbia condotto un’indagine adeguata sugli eventi («to institute and conduct an effective investigation into the events», pagina 1). Questi due punti, appena citati, riguardano la violazione dell’articolo 2.

La violazione dell’articolo 8 riguarda, invece, il ritardo nella restituzione del corpo di una vittima dell’incendio alla famiglia («delay in handing over her father’s body for burial», pagina 1).

La colpa dei neonazisti ucraini filo occidentali?

La narrazione filorussa riporta come colpevoli gli attivisti filo occidentali, descrivendoli come neonazisti. La Corte non riporta in nessun caso una tale descrizione, spiegando che si trattava di una voce fatta circolare sui social media («Shortly thereafter, anti-Maidan posts began to appear on social media describing the event as a Nazi march and calling for people to prevent it», pagina 2):

Verso la fine di aprile 2014, i tifosi delle squadre di calcio Odesa Chornomorets e Kharkiv Metalist hanno annunciato un raduno “Per un’Ucraina unita” il 2 maggio 2014 prima della partita di quel pomeriggio. I partecipanti al raduno avrebbero dovuto camminare da Piazza Soborna allo stadio situato a 2,5 km a est del punto di partenza (mentre il campo tendato degli attivisti anti-Maidan era a circa 3 km a sud). Poco dopo, sui social media iniziarono ad apparire post degli attivisti anti-Maidan che descrivevano l’evento come una marcia nazista e invitavano la popolazione a impedirlo. Le informazioni ottenute dal Servizio di sicurezza hanno mostrato segni di possibile incitamento alla violenza, scontri e disordini. L’unità per la criminalità informatica del Ministero degli Interni ha anche rilevato post sui social media che evocavano rivolte di massa.

Le accuse contro la Polizia “anti-Maidan”

Come già spiegato in precedenza, la CEDU accusa gli agenti di Polizia di non essere intervenuti per fermare le violenze («The passivity of the police during the clashes was an established fact», pagina 5). Infatti, nessun piano di emergenza venne implementato dalle forze dell’ordine («no special contingency plan for mass riots had been activated once the clashes had started», pagina 5) che, come vedremo tra poco, avrebbero persino sostenuto le violenze contro i manifestanti pro-Maidan.

Inoltre, sostiene che ci fu un’evidente collusione con gli attivisti anti-Maidan (filorussi), in quanto alcuni agenti e ufficiali indossavano lo stesso nastro adesivo rosso sulle braccia («Some police officers and certain anti-Maidan protesters were wearing similar red adhesive tape on their arms», pagina 2).

A rafforzare le accuse di una posizione “anti-Maidan” da parte della Polizia, la CEDU riporta la successiva fuga del vicecapo della Polizia regionale in Russia. Secondo la Corte, questa azione genera il sospetto di una connivenza con i gruppi violenti filorussi («The deputy head of the regional police who had been directly involved in the decision-making process before and during the events and who had fled to Russia afterwards», pagina 4).

A chi viene attribuita la strage di Odessa?

La CEDU accusa la propaganda russa, affermando che le tensioni sono state amplificate diffondendo false notizie sui manifestanti pro-Maidan («The Court considered that disinformation and propaganda from Russia had had its part to play in the tragic events», pagina 4). Le violenze sarebbero partite proprio dai militanti anto-Maidan contro i manifestanti pro-Maidan («The clashes had started with an attack by a group of anti-Maidan activists on the pro-unity march», pagina 4).

La Corte critica, come abbiamo già riportato, la mancanza di un intervento da parte delle forze dell’ordine ucraine, le quali avrebbero di fatto contribuito all’escalation delle violenze («there was nothing to show that they had done everything that could reasonably be expected of them to avert them», pagina 5).

Infine, per quanto riguarda l’incendio presso il Palazzo dei Sindacati, che causò la morte di 42 persone, la CEDU evidenzia che i vigili del fuoco ritardarono intenzionalmente i soccorsi per 40 minuti («the deployment of fire engines to the site of the fire had been deliberately delayed for 40 minutes», pagina 5).

L’incendio presso il Palazzo dei Sindacati non viene attribuito a una delle due fazioni, ma a entrambe. Secondo la CEDU, gli attivisti anti-Maidan lanciarono molotov contro gli avversari dal Palazzo, ottenendo come risposta il lancio di molotov contro l’edificio («A group of pro-Russian protesters on the roof of the Trade Union Building threw Molotov cocktails at the crowd below; pro-unity activists retaliated by throwing Molotov cocktails at the building», pagina 2). La CEDU sostiene che entrambe le fazioni avevano lanciato molotov l’una contro l’altra, causando l’incendio, senza però dare una responsabilità unica e certa.

Conclusioni

La CEDU non sostiene che dei neonazisti siano gli autori della strage di Odessa. La sentenza, al contrario, evidenzia come la propaganda filorussa e la collusione di agenti e ufficiali della polizia ucraina con gli attivisti anti-Maidan (filorussi) abbiano avuto enormi responsabilità su quanto accaduto.

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