Esplosione di Calenzano, nove indagati: tra loro dirigenti Eni e della società appaltatrice Sergen


La procura di Prato ha inviato avvisi di garanzia alla società Eni spa e a nove persone – si tratta di sette dirigenti e due della società appaltatrice Sergen srl – per i reati, contestati a vario titolo, di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni personali per l’esplosione avvenuta il 9 dicembre 2024 al deposito di idrocarburi Eni di Calenzano, in provincia di Firenze. Lo ha reso noto il procuratore Luca Tescaroli che ha curato l’inchiesta. Nell’esplosione morirono cinque persone e ci furono 28 feriti, alcuni rimasti a lungo in condizioni gravi. Tra i reati ipotizzati c’è anche la rimozione delle cautele infortunistiche. Eni ha garantito piena collaborazione con la magistratura. In una nota «conferma altresì il proprio impegno al risarcimento dei parenti dalle vittime dell’incidente e, con la maggiore tempestività possibile consentita dai tempi dalle attività di perizia, dei danni civili sul territorio, in avanzato stato di definizione complessivo».
Uno dei 9 indagati ha tentato di ostacolare le indagini
Nelle indagini, ha spiegato il procuratore capo Luca Tescaroli, sono emerse condotte di responsabilità oggettiva da parte di Eni s.p.a. La società «è oggetto di illecito amministrativo» anche per via di uno dei nove indagati, il quale avrebbe «tentato in qualche modo di ostacolare le indagini» sulle cause dell’esplosione creando una cartella documentale emersa più di un mese dopo l’esplosione. Nella cartella, con documenti e appunti che compaiono per la prima volta il 27 gennaio, si dà conto della richiesta di Eni a Sergen di rimuovere due valvole. La cartella è emersa in una perquisizione del 31 gennaio 2025. nei fogli all’interno la Sergen srl avrebbe ricevuto da Eni spa delle indicazioni per fare interventi non dovuti a due valvole (la rimozione), lungo l’area in cui partì l’avaria che causò la prima esplosione seguita da altre tre (furono quattro in tutto). «Tale documentazione – ha spiegato il procuratore Luca Tescaroli – non avrebbe dovuto esserci a valle», oltre un mese dopo l’esplosione. E non averlo scoperto subito «avrebbe potuto ostacolare» le indagini.
Se Eni fermava le autobotti perdeva 255mila euro
Non solo, se le pompe di carico delle autobotti al deposito «fossero rimaste chiuse come dovevano dalle ore 9 alle ore 15 del 9 dicembre 2024, sarebbero andati persi circa 255.000 euro di guadagni». Questo il calcolo fatto dagli inquirenti, dove sottolineano che «gli interventi di manutenzione, quel giorno, non potevano e non dovevano essere portati avanti in presenza del normale carico delle autocisterne». Tra gli elementi per cui, invece, fu continuato a pompare benzina e gasolio nelle linee di carico e proseguì il flusso di camion cisterna mentre venivano fatte attività di manutenzione accanto, viene considerato dall’inchiesta anche il vantaggio economico stimato per quella giornata.