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L’Ue cambia registro dopo le critiche di Meloni: «Riarmo? Chiamiamolo prontezza». La spinta sui 150 miliardi di prestiti: «Ecco perché converranno»

19 Marzo 2025 - 17:25 Simone Disegni
von der leyen voti eurodeputati italiani
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Al piano di difesa e al nuovo Libro bianco affiancato da oggi il brand "Readiness 2030": «Nessuna volontà bellicista, è la risposta necessaria agli sconvolgimenti», spiegano fonti Ue a Open

ReArm Europe, il nome scelto da Ursula von der Leyen per il piano d’emergenza Ue di difesa, non sparirà dalla circolazione, come Giorgia Meloni vorrebbe. Ma la Commissione ha preso atto delle perplessità cui ha dato voce – tra gli altri – la premier italiana, affiancando a quel brand così contestato un’altra dicitura: Readiness 2030 (“Prontezza 2030“). Un cambiamento non solo semantico, spiegano a Open fonti della Commissione europea. ReArm Europe «è il titolo che è stato scelto dalla presidente» von der Leyen, ed è escluso dunque che possa andare in soffitta, «ma vogliamo porre l’accento sul concetto di prontezza, e non su quello di un riarmo fine a se stesso», spiegano da Bruxelles. Quel nome tanto evocativo di un ritorno alla militarizzazione della società e dell’economia europea ha creato nelle ultime due settimane non pochi mal di pancia in Italia: nel centrodestra di governo, dove Meloni deve guardarsi da una Lega sempre più all’arrembaggio nella sua «guerra alla guerra», ma anche dentro il Pd di Elly Schlein, ritrovatosi spaccato a metà nel voto al Parlamento europeo per ragioni non dissimili. Se la sostanza del piano non cambia di una virgola – emergono se mai maggiori dettagli sul suo futuro funzionamento – per lo meno a livello di narrativa l’Ue ora fa un passo in avanti. A scanso di equivoci, proseguono ancora le fonti consultate da Open, nei piani della Commissione «non c’è nessuna volontà bellicista: le politiche di difesa servono a sviluppare la deterrenza nei confronti delle velleità di aggressione di attori ostili». Detto ancor più chiaramente, «il riarmo/prontezza è la risposta necessaria alla degradazione della situazione internazionale, determinata non certo dall’Ue», ma da altri. E non serve ricordare da chi.

Il mondo in pezzi e il futuro dell’Ue

“Prontezza 2030” è dunque la parola d’ordine che la Commissione affianca da oggi al piano di riarmo, ma anche al Libro bianco sulla difesa Ue, il documento strategico sul tema presentato oggi. Al netto delle diatribe semantiche, come detto, i princìpi su cui insiste l’esecutivo Ue restano chiari. Di fronte «alla guerra, all’aggressione e agli atti ostili» sul suolo europeo (vedi alla voce Putin), ma più in generale ai «più grandi cambiamenti all’ordine internazionale mai visti dal 1945» (vedi in primis alla voce Trump), «è arrivato il momento per l’Europa di riarmarsi», ribadisce il Libro bianco pubblicato oggi. Seppellita l’illusione della pace garantita, «c’è bisogno di un aumento massiccio della spesa europea nella difesa, di modo da sviluppare le necessarie capacità e la prontezza militare per prevenire in maniera credibile aggressioni armate e mettere in sicurezza il nostro futuro». Le fonti di quegli investimenti «massicci», la Commissione la ha già indicate nel delineare ReArm Europe. Oggi arriva in proposito qualche chiarimento in più. La clausola di salvaguardia dal Patto di Stabilità – che sarà attivata a partire dal prossimo mese di aprile – permetterà agli Stati membri di spendere sino all’1,5% del Pil in difesa senza doversi preoccupare dei vincoli Ue su deficit e debito pubblico. La Commissione invita però esplicitamente i Paesi europei a non andare in ordine sparso, ma ad attivare quella clausola «in modo coordinato». Se così sarà, secondo i calcoli dell’esecutivo Ue, dai bilanci nazionali potrebbero “spuntare” in questo modo fino a 650 miliardi di euro di nuovi investimenti nei prossimi anni.

I prestiti agevolati dell’Ue e i vincoli sulle armi

Gli altri 150 miliardi di euro per arrivare ai “famosi” 800 miliardi annunciati con grande enfasi da von der Leyen dovrebbero arrivare, come noto, sotto forma di prestiti garantiti dall’Ue nel quadro di un nuovo strumento ad hoc: SAFE (Security Action for Europe). Anche in questo caso però il condizionale è d’obbligo, perché a decidere se, come e quanti soldi richiedere saranno gli stessi Stati membri, ai quali d’altra parte – ricorda la stessa Commissione – resta la competenza sovrana in materia di difesa. Quel che è certo però è che quei fondi a prestito l’esecutivo Ue li «sponsorizza» volentieri. Con una serie di argomenti. Il primo è che i tassi d’interesse offerti «saranno più interessanti di quelli sulle obbligazioni nazionali per una ventina di Stati membri», spiegano a Open fonti della Commissione, pur declinando di dettagliare quali questi siano. L’attrattività di quelle risorse starà anche nell’esenzione dal pagamento dell’Iva e nelle regole semplificate sugli acquisti da operare. Per comprare che cosa? Armi e sistemi di difesa, naturalmente, specialmente nelle aree prioritarie già indicate da von der Leyen. La novità, a questo riguardo, è che viene formalizzata la politica della «preferenza europea», cara in primis alla Francia. Almeno il 65% dei prodotti acquistati con quei fondi dovrà provenire dall’Europa, dalla Norvegia o dall’Ucraina. Resteranno così tagliati fuori da gran parte delle commesse gli ormai “inaffidabili” Usa, come già anticipato, ma pure il Regno Unito e la Turchia. A meno che quei Paesi terzi non accettino di sottoscrivere nei prossimi anni precisi accordi di sicurezza e difesa con l’Ue.

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