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Sterminò la sua famiglia a Paderno Dugnano, il 18enne verso lo sconto di pena: l’ultima perizia psichiatrica

Riccardo Chiarioni e la sua famiglia prima della strage a Paderno Dugnano
Riccardo Chiarioni e la sua famiglia prima della strage a Paderno Dugnano
Il consulente della difesa aveva certificato la totale incapacità di intendere e volere del ragazzo che ha ucciso a coltellate padre, madre e fratello di 12 anni. Ora arriva la conferma anche dalla perizia disposta dal gip, in attesa dell'inizio del processo con rito abbreviato

Riccardo C. era parzialmente incapace di intendere e volere quando ha sterminato la sua famiglia a Paderno Dugnano, in provincia di Milano. Il ragazzo aveva ancora 17 anni la notte del 31 agosto scorso, quando ha ucciso a coltellate padre, madre e fratello di 12 anni nella loro villetta. Quella notte, Riccardo colpì i suoi famigliari con 108 coltellate, ben più di quelle emerse dalle prime analisi autoptiche. Un gesto compiuto, secondo lo psichiatra Franco Martelli, con una ridotta capacità di intendere e volere. Quella sera c’era stata la festa di compleanno del papà di Riccardo. Il ragazzo è accusato di omicidio volontario pluriaggravato, anche dalla premeditazione. Delle 108 coltellate, la maggior parte erano state sul corpo del fratellino.

Le perizie psichiatriche e lo sconto di pena

A stabilire il vizio parziale di mente del ragazzo è stata la perizia psichiatrica del dottor Franco Martello, disposta dalla gip per i minorenni di Milano Laura Margherita Pietrasanta. Riccardo potrebbe ora ottenere una riduzione della pena, se il vizio di mente parziale verrò riconosciuto nel corso del processo abbreviato che deve ancora iniziare. Il ragazzo, oggi 18enne, è difesa dall’avvocato Amedeo Rizza, che aveva a sua volta fatto svolgere una consulenza difensiva. In quel documento, il perito aveva stabilito che Riccardo era totalmente incapace di intendere e volere quando ha ucciso tutta la sua famiglia.

Come si è arrivati al processo abbreviato

Lo scorso ottobre, su richiesta della difesa, la gip, anche a seguito delle indagini delle pm per i minori Sabrina Ditaranto e Elisa Salatino e dei carabinieri, aveva affidato a Franco Martelli, specialista in psichiatria e in criminologia clinica, l’incarico per l’accertamento in incidente probatorio sul giovane, detenuto nel carcere minorile di Firenze. Perizia che è stata depositata il 14 marzo e che sarà discussa, tra parti e consulenti, davanti alla giudice in un’udienza ad aprile. La difesa ha anche nominato un proprio consulente di parte, lo psichiatra Marco Mollica, che nel suo elaborato ha concluso per un vizio totale di mente. Entrambe le relazioni, così come quella della Procura per i minori, entreranno nel processo abbreviato (con sconto previsto sulla pena), che deve essere ancora fissato, dopo che nei giorni scorsi i pm hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato.

Per essere immortale doveva liberarsi degli affetti

La notte della strage, l’allora 17enne Riccardo C. aveva uno spazio di libertà limitato, secondo lo psichiatra Martelli. Ossia una ridotta capacità di intendere. Così come era ridotta anche la capacità di volere mentre colpiva con il coltello i suoi famigliari. «Voleva rifugiarsi nel suo mondo fantastico della immortalità – scrive lo psichiatra – e per raggiungerlo nella sua mente era convinto di doversi liberare di tutti gli affetti». Insomma, il 17enne viveva «tra realtà e fantasia, quest’ultima non intesa come delirio, ma come rifugio».

Il malessere raccontato agli psicologi

«Volevo proprio cancellare tutta la mia vita di prima», aveva messo a verbale il ragazzo, parlando di un suo «malessere» che durava da tempo, ma che si era acuito soprattutto in estate, e dicendo di sentirsi «estraneo» rispetto al mondo. «Volevo essere immortale, uccidendoli avrei potuto vivere in modo libero», aveva detto ancora, cercando di spiegare una strage senza un movente. Nelle relazioni degli psicologi che si sono occupati di lui, allegate agli atti delle indagini, si era messo in luce che il ragazzo aveva parlato di un «clima competitivo» che c’era in famiglia, ma anche nello sport e più in generale in tutta la società. Un «clima relazionale – si legge – percepito come critico e competitivo». Le ultime sue vacanze estive, con familiari ed amici, le ha descritte come «serene», o almeno così aveva raccontato. In famiglia, ha spiegato ancora nei colloqui, «se c’era il pretesto di litigare, io cercavo di non farlo». All’apparenza, dunque, non aveva un motivo per sterminare la famiglia. «E’ stata la sera della festa che ho pensato di farlo», ha riferito davanti alla giudice che lo aveva interrogato dopo l’arresto. Il perito ha accertato che nel momento della strage la sua capacità era parzialmente scemata, perché viveva pensando di rifugiarsi in un mondo fantastico e per farlo doveva liberarsi della realtà, compresa la sua famiglia.

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