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Riarmo, la resa dei conti nel Pd non è finita. Traballa la poltrona di Bonaccini

stefano bonaccini elly schlein al nazareno
stefano bonaccini elly schlein al nazareno
La mozione sul Consiglio europeo è passata senza defezioni, ma il "chiarimento" sull'Ucraina ci sarà. E potrebbe coinvolgere i ruoli dirigenziali del partito, presidenza o segreteria

Dopo la rottura a Strasburgo, durante la votazione sul Piano di riarmo europeo, ieri i deputati del partito democratico si sono ritrovati uniti a difesa del Manifesto di Ventotene, respingendo l’attacco della premier Giorgia Meloni, che, leggendo un passaggio del testo, ha dichiarato: «Questa non è la mia Europa». E abbracciando il compagno di partito Federico Fornaro dopo aver replicato all’attacco della presidente del consiglio. Tutto il partito ha poi votato il testo redatto dal responsabile esteri Giuseppe Provenzano (e su cui si era mediato a suon di avverbi anche al Senato), e solo Lorenzo Guerini si è espresso poi in dissenso dal gruppo a favore di quelli di Azione e Italia Viva. Nessuno, della maggioranza di Schlein, ha dato segnali sui testi più apertamente pacifisti di Movimento cinque stelle e Avs, come pure avevano ipotizzato di fare. Ma il caso non è chiuso, per niente. Anche perché l’Ucraina, l’acquisto di armi e l’eventuale impegno militare sono all’ordine del giorno perlomeno dei prossimi mesi e nuovi incidenti sono dietro l’angolo.

La frenata dei riformisti

L’area riformista, Energia popolare, sembra in realtà decisa a non riaprire la discussione. La scelta di Guerini è stata vista come una «testimonianza di un punto di vista», fatta per «un segnale di sostegno a un’intesa comune, all’idea dell’investimento della difesa europea». Altri della stessa componente sottolineano, informalmente, che ritengono un successo il segnale alla sinistra: «Per noi è stato un risultato importante votare contro i due punti delle mozioni di Avs e M5S, che chiedevano di fermare gli aiuti militari all’Ucraina. Su questo abbiamo fatto un lavoro fondamentale. Abbiamo continuato a ribadire la linea che il Pd sostiene ormai da tre anni». Quindi, dicono i moderati, avanti così, anche senza chiarimenti, purché la segretaria tenga presente: «Non stiamo parlando di una forza politica che ha il 3% dei consensi, ma di un partito che è il secondo a livello nazionale. Può e anzi deve permettersi, ed è sano che ci siano in esso punti di vista diversi, che riflettono opinioni e sensibilità differenti. Dobbiamo mantenere una posizione aperta al dibattito».

Il ruolo di Bonaccini

Dalle parti della segretaria, però, il nervosismo rimane. E a farne le spese potrebbe essere il presidente del partito, Stefano Bonaccini. Avversario di Schlein alle primarie è stato nominato presidente a nome della minoranza, come è tradizione. Bonaccini si era proposto come un presidente di mediazione e aveva nel tempo fatto varie aperture alla segretaria, senza mai andare apertamente in ostilità fino al voto della scorsa settimana a Strasburgo, concluso a favore dell’astensione sul piano di riarmo (e quindi della segretaria) per 11 a 10. Era, però, da tempo criticato dalla sua stessa area perché considerato troppo morbido. Ora gli uni e gli altri lo accusano di non essere stato capace di gestire la situazione. E in ogni caso, sembrano dire soprattutto dall’area di Schlein, di non essere abbastanza super partes per fare il presidente.

Confronto o congresso?

Il suo ruolo potrebbe essere messo in discussione in quel “chiarimento” ventilato da Elly Schlein e che, confermano da entrambe le parti, certamente avverrà. In che forme è difficile dirlo. Nessuno crede al congresso che tra l’altro costringerebbe l’attuale segretaria a dimettersi (anche se da entrambe le parti sostengono che la sua vittoria è al momento abbastanza probabile anche nei circoli) e difficile è anche la strada del congresso tematico, solo su guerra e Ucraina. Più credibile è invece una discussione sui ruoli. Quello del presidente oppure una revisione della segreteria che potrebbe diventare espressione della sola maggioranza.

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