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«Mia figlia stuprata per anni anche dal fratello del sindaco del mio paese. Lei è scappata, a me hanno tagliato 5 volte le gomme dell’auto»

21 Marzo 2025 - 06:24 Alba Romano
violenza sessuale di gruppo calabria
violenza sessuale di gruppo calabria
Un gruppo di giovani vicini ai clan della Piana di Gioia Tauro condannato a pene dai 5 ai 13 anni di carcere. Ma la madre della vittima è terrorizzata: «Ci sentiamo in pericolo»

A partire dai 14 anni sua figlia è stata violentata da un gruppo di giovani vicini ai clan della Piana di Gioia Tauro. Alcuni di loro erano minorenni. Gli stupri sono andati avanti per due anni. Martedì 18 marzo è arrivata la sentenza. Sei di loro sono stati condannati con il rito abbreviato a pene dai 5 ai 13 anni di carcere. Ma dopo la denuncia della ragazza a un poliziotto «mia figlia è stata costretta a lasciare il paese, noi siamo obbligati a vivere sotto minaccia e a subire continui danneggiamenti. Negli ultimi mesi hanno tagliato cinque volte le gomme della mia auto. Ci sentiamo in pericolo, nessuno ci aiuta», racconta lei in un’intervista al Corriere della Sera.

A stretto contatto

Nel colloquio con Carlo Macrì la donna rivela che la sua famiglia vive a stretto contatto con i familiari dei condannati: «E ogni mattina è un calvario. Appena mettiamo piede fuori dalla porta di casa inveiscono contro di me e mio marito con parole volgari. Qualche mese fa uno di loro addirittura ha minacciato di accoltellarmi. Ieri (il giorno della sentenza, ndr ) l’ennesima intimidazione: la badante di un’anziana parente di uno degli stupratori di mia figlia mi ha aggredito con parole irripetibili». Si tratta di una condanna «per noi, direi. Abbiamo scritto al prefetto di Reggio Calabria chiedendogli la cortesia di trovarci un appartamento lontano da qui, proprio per sfuggire a questi continui attacchi. Non abbiamo ricevuto risposta».

La figlia

La figlia è stata costretta a lasciare il paese. «Da due anni è come se non avessi più una figlia. La vedo solo un’ora al giorno. Mi sento impazzire. Mi sto perdendo gli anni più belli della sua vita. A volte la notte mi alzo e vado nella sua stanza immaginando di trovarla a letto per darle una carezza». Mentre la ragazza «appena finita la scuola andrà via dalla Calabria. Non vuole sentire ragioni di restare. E io condivido la sua volontà». L’altro figlio preadolescente «i primi mesi era terrorizzato. La gente lo incontrava per strada e sputava a terra in segno di disprezzo. Tornava a casa piangendo». E ancora: «Alcuni nostri amici ci hanno espresso la loro vicinanza ma solo in privato. Hanno paura di esporsi pubblicamente. “Loro”, i parenti dei condannati, sono tutti vicini ai clan della zona. La gente qui ha paura. E io li capisco».

Il fratello del sindaco

Il fratello del sindaco del paese in cui abita «è uno dei violentatori. È stato condannato a cinque anni in abbreviato. Il Comune si è costituito parte civile. L’ho chiamato quando una sua parente mi ha minacciato e lui mi ha risposto che “non prende le ragioni né mie né della sua famiglia”. Per non parlare del parroco». Il prete «non ha mai detto una parola. Per questo motivo non metto più piede in una chiesa. Ci hanno abbandonato tutti». Lei ha saputo tutto «dalla polizia. Mia figlia non è riuscita a dirmi nulla. Era psicologicamente turbata. Piangeva continuamente e io non mi spiegavo il motivo. La notte la sentivo singhiozzare, mi avvicinavo e lei mi abbracciava». Perché «i suoi violentatori l’avevano minacciata, le dicevano di non dire nulla di quello che le accadeva perché se avesse parlato avrebbero ucciso me. Ha taciuto per difendermi».

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