ReArm Europe – Readiness 2030: quali sono le condizioni e i paletti per il riarmo dei 27 paesi dell’Unione Europea


Ha cambiato nome, ma i problemi rimangono. Si chiamerà ReArm Europe-Readiness 2030 il piano per il riarmo dei paesi dell’Unione Europea di Ursula von der Leyen. L’accento sulla data (il 2030) serve a rimarcare l’obiettivo di avere una difesa comune europea entro cinque anni. Perché le intelligence di paesi come Germania e Danimarca hanno annunciato pubblicamente che, secondo le loro informazioni, il Cremlino si sta preparando a mettere alla prova l’Articolo 5 della Nato prima del 2030, come ha detto il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius. Per questo in cinque anni l’Ue vuole un’industria della difesa continentale più autonoma. Colmando le carente degli arsenali europei in vista del progressivo disimpegno degli Usa dalla Nato. E di un’eventuale aggressione russa.
Gli obiettivi
Il Corriere della Sera spiega che il piano si propone l’obiettivo di mobilitare 800 miliardi di euro di investimenti in difesa. Secondo misure volontarie che partono da un presupposto su cui tutti e 27 gli stati dell’Ue sono d’accordo. Ovvero l’aumento delle spese militari in percentuali del Pil come voluto dal presidente Usa Donald Trump. La Commissione Europea ha creato le condizioni per spendere. Come? In primo luogo attraverso l’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale del Patto di Stabilità.
Secondo von der Leyen questo permetterà di aumentare complessivamente la spesa pubblica per la difesa di 650 miliardi in quattro anni. Nel piano non è previsto debito comune, per ora. Nel senso che non c’è un piano per trasferimenti diretti ai paesi da non rimborsare. Ma c’è chi lo chiede, come la Spagna. E c’è chi lo nega a priori, come Germania e Paesi Bassi.
Lo strumento Safe
La Commissione, aggiunge il quotidiano, ha invece creato lo strumento Safe, garantito dal bilancio Ue, per fornire fino a 150 miliardi di prestiti a tassi agevolati e a lunga scadenza. Per L’Italia è vantaggioso perché il costo di finanziamento sui mercati è maggiore. Ma lo strumento prevede condizioni: «I fondi saranno erogati agli Stati membri interessati su richiesta, sulla base di piani nazionali. Dovranno essere usati per appalti comuni da riservare all’industria della difesa europea e a progetti congiunti o in associazione con almeno un Paese della zona Efta (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera) più l’Ucraina. La condizione però è che il 65% dei costi delle attrezzature finanziate provenga da fornitori nell’Ue, in zona Efta o in Ucraina. Solo un terzo della spesa può essere destinata a prodotti di Paesi extra-Ue con un accordo di sicurezza».
Regno Unito e Turchia
Le industrie dei paesi attualmente fuori dall’Unione Europea, come Regno Unito e Turchia, saranno escluse. A meno di non firmare un accordo di partenariato in materia di sicurezza e difesa con l’Unione Europea. In più, la Banca europea degli investimenti amplierà la portata dei suoi prestiti in progetti di difesa e sicurezza. Tutte le iniziative contenute nel pacchetto difesa mirano a rafforzare le forze armate nazionali, migliorandone l’interoperabilità in linea con gli standard Nato. Gli Stati membri restano responsabili delle loro forze armate. La difesa resta prerogativa nazionale.
La roadmap
La roadmap prevede di chiudere al Consiglio Europeo di giugno, fissato in calendario subito dopo il summit della Nato in Olanda, dove gli alleati saranno chiamati ad aumentare i target di spesa – si parla di almeno il 3% – sotto l’impulso energico di Trump. Tre mesi sono un orizzonte molto esteso e alcune tappe previste dal ReArm Europe (ad esempio l’attivazione delle deroghe al Patto di stabilità sulle spese in sicurezza) dovrebbero avvenire ben prima. «Siamo consapevoli che ormai ci sono delle aspettative, dopo una sfilza d’incontri, e devono essere gestite, perché non possiamo inventarci ogni volta una formula nuova», confida un diplomatico all’agenzia di stampa Ansa. Al momento non c’è una lista chiara di chi attiverà per certo la clausola e chi no, solo indizi (la Germania senz’altro, l’Olanda forse no, i paesi ad alto debito come Italia e Francia sono sul chivalà).
Buy European
L’altro aspetto in discussione è la norma sul ‘buy European’, fortemente voluto dalla Francia per dare impulso all’industria nazionale. Le posizioni sono articolate, fra chi vorrebbe una catena del valore più aperta, che magari includa anche gli Usa, dopo aver avuto accesso al fondo da 150 miliardi – battezzato Safe – ideato per incoraggiare gli appalti congiunti, specie sui grandi progetti d’interesse collettivo come la difesa aerea, i missili a lungo raggio, gli aerei cargo, il cyber o lo spazio. A cornice generale, il grande tema dei finanziamenti col derby tra favorevoli agli eurobond e i contrari. Ora non c’è nulla sul debito comune ma, si puntualizza, il piano sulla difesa presentato ai leader da von der Leyen è da intendersi come «un primo passo».