Perché tutti parlano di «Adolescence», la serie tv che spaventa i genitori


24,3 milioni di visualizzazioni nei primi quattro giorni dalla messa in onda certifica sicuramente il successo di Adolescence, thriller poliziesco di matrice britannica al momento in cima alle preferenze degli utenti Netflix in tutto il mondo. Miniserie che si esaurisce in quattro episodi, ideata da Jack Thorne e Stephen Graham che è anche protagonista, Adolescence racconta del dramma di una famiglia che vive in una tranquilla cittadina britannica, investita dall’accusa di omicidio nei confronti del tredicenne Jamie, figlio di Eddie e Manda, fratello di Lisa, interpretato dall’esordiente Owen Cooper. A essere morta, a causa di sette coltellate, è la compagna di scuola Katie. Il delitto e le relative indagini sconvolgeranno la vita del nucleo familiare, incredulo dinanzi alle accuse rivolte al membro più piccolo della famiglia.
L’aggressività tra i giovani
Adolescence non è ispirata a una storia vera, non esattamente perlomeno. Stephen Graham a Tudum, rivista legata a Netflix, ha dichiarato che l’idea è partita dall’allarmante aumento di aggressioni con coltello nel Regno Unito: «Uno dei nostri obiettivi – ha spiegato – era quello di chiedere: “cosa sta accadendo ai nostri giovani uomini al giorno d’oggi, e quali sono le pressioni che devono affrontare dai loro coetanei, da internet e dai social media?”. Le pressioni che derivano da tutte queste cose sono difficili da gestire per i ragazzi inglesi così come in tutto il mondo».
La scelta del piano sequenza
Ed è certamente questo – oltre la naturale tensione da thriller e un lavoro di recitazione considerato eccellente da pubblico e critica – uno degli elementi che rendono così avvincente la trama di Adolescence. L’effetto «fulmine a ciel sereno», qualcosa che accade dove non dovrebbe accadere, il che rende assai facile per lo spettatore empatizzare con i protagonisti e rimanere sconvolto dalle loro reazioni. A aggiungere tensione al racconto c’è anche l’idea, assai dispendiosa e complessa, di girare ogni puntata in piano sequenza. un’inquadratura che non prevede stacchi e quindi richiede una perfetta quadratura delle scene, sia in fase di scrittura, sia in fase di messa in scena: qualsiasi errore significa ricominciare la scena dal principio. Variety ha intervistato il direttore della fotografia Matthew Lewis, che insieme al regista Philip Barantini ha reso possibile questa idea: «Il nostro sceneggiatore Jack Thorne è stato super collaborativo, Phil o io gli scrivevamo email: “La telecamera si sposta troppo da sola e abbiamo bisogno di motivazione per arrivare da qui a qui” e lui scriveva i momenti aggiuntivi. Abbiamo mappato le aree dove avremmo girato e abbiamo studiato come si sarebbe mossa la telecamera al suo interno, abbiamo provato tutti i movimenti come una danza tra me e il cast».