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Dall’inizio del governo Meloni il report sulla parità di genere al lavoro non è mai stato pubblicato. Scomparso anche il sito

23 Marzo 2025 - 09:12 Sofia Spagnoli
Il rapporto doveva essere stilato dalla Consigliera nazionale della parità, Filomena D'Antini (nota anche per essere la sorella del comico Pio del duo Pio e Amedeo). La piattaforma, finanziata con 2 milioni, non esiste

Il gender gap continua ad essere un fenomeno fortemente pervasivo nel mondo del lavoro: solo nel 2023, secondo i dati dell’Inps, in Italia le retribuzioni medie settimanali lorde degli uomini sono state di 643 euro, ben il 28,34% in più rispetto ai 501 euro medi percepiti dalle donne. E mentre il divario salariale rimane un problema, uno strumento che è stato creato proprio per monitorarlo è dimenticato nel limbo: si chiama Rapporto biennale sulla parità di genere, previsto dalla Legge Gribaudo. Non è mai stato presentato al Parlamento dalla sua entrata in vigore, nel 2021, dopo un’approvazione all’unanimità che coinvolgeva dunque anche i partiti oggi al governo. Ma non solo: i 2 milioni di euro destinati alla creazione della piattaforma che avrebbe dovuto supportare la stesura del report non si sa che fine abbiano fatto: non è mai stata realizzata.

La Legge Gribaudo

Il report è stato introdotto nel 2021, dopo l’approvazione della legge sulla parità salariale tra i generi: si chiama Legge Gribaudo, dal nome della vicepresidente del Partito democratico, Chiara Gribaudo, che è la prima firmataria. La norma ha l’obiettivo principale di ridurre la disparità salariale tra uomini e donne, portando alla luce eventuali discriminazioni, anche indirette, nel contesto lavorativo. E lo fa integrando e rinforzando il già esistente “Codice delle Pari opportunità”, del 2006.

Il rapporto

Tra le novità introdotte dalla legge, c’è l’obbligo per le aziende con oltre 50 dipendenti di stilare un rapporto biennale per monitorare l’applicazione della normativa. Alle imprese, su un modulo preformato, vengono chiesti una serie di parametri che includono elementi di welfare aziendale, opportunità di crescita interna, il numero di manager donne, le retribuzioni etc. Successivamente, il ministro verifica che i parametri siano stati rispettati. Se tutto è conforme, viene rilasciata una certificazione, che consente alle aziende di beneficiare di uno sgravio fiscale compreso tra i 30.000 e i 50.000 euro. Ed è qui che entra in gioco il Rapporto biennale sulla parità di genere. Si perché la consigliera nazionale della Parità, sulla base di tutti i dati raccolti, deve redigere un rapporto finale per offrire una visione completa del fenomeno su scala nazionale.

Chi è la consigliera?

Ma chi è la consigliera nazionale della parità? Si chiama Filomena D’Antini ed è stata nominata nel 2024 direttamente dalla ministra del Lavoro Elvira Calderone in accordo con la collega delle Pari opportunità e della Famiglia Eugenia Rocella. Con un lungo trascorso in Forza Italia, D’Antini, ex assessora provinciale a Lecce, è nota anche per essere la sorella del comico foggiano Pio, del duo Pio e Amedeo che non dispiace alla premier Meloni (nel 2023 fu avvistata in platea durante un loro spettacolo). D’Antini al momento della nomina ha voluto specificare: “Io e mio fratello Pio siamo due mondi diversi”.

In ritardo

Durante il question time del 5 marzo, la ministra Roccella interpellata dalla deputata del Pd Simona Bonafè, ha motivato il ritardo nella presentazione del report con la recente nomina di D’Antini, avvenuta nell’aprile 2024. Ma per Bonafè, questa giustificazione non regge: «Ci avevano promesso che sarebbe arrivato prima a luglio, poi a dicembre, e ora siamo a marzo e non c’è ancora nulla». Ma perché è così cruciale avere questo report? In primo luogo, perché permetterebbe di verificare quante aziende abbiano aderito alla legge e ottenuto la certificazione. Inoltre offrirebbe l’opportunità di «avviare un’analisi più approfondita sull’efficacia della norma, monitorando se stia effettivamente generando risultati concreti e se si stiano facendo veri progressi verso una maggiore equità salariale», spiega la dem.

Mancano due milioni

C’è anche il problema della piattaforma, che doveva essere uno strumento trasparente per raccogliere e rendere accessibili tutti i dati, come i nomi delle aziende, consultabili non solo dalle istituzioni, ma anche dai sindacati e da altri soggetti interessati. Nella Legge di Bilancio del 2020, era stato aggiunto l’articolo 45 bis, che prevedeva presso il ministero del Lavoro e delle politiche sociali un fondo specifico per la creazione della piattaforma: due milioni di euro. Una cifra significativa se si considera che, solitamente, per progetti simili è sufficiente qualche decina di migliaia di euro. Ma la piattaforma non è mai stata realizzata e questi due milioni non è chiaro dove siano andati a finire. Durante il question time del 5 marzo, la ministra Roccella ha fatto sapere che i nomi delle aziende che hanno aderito al protocollo sulla parità di genere possono essere consultate tramite il sito del Dipartimento per le Pari Opportunità, dove sono elencate le imprese certificate secondo le indicazioni della Commissione Europea, o dalla banca dati di Accredia, che raccoglie tutti gli accreditamenti. Ci abbiamo provato: andando sul dipartimento troviamo elencate le 57 aziende che danno l’okey per le certificazioni. Su Accredia, se inseriamo “UNI PDR 125” nella maschera di ricerca, otteniamo il numero delle aziende accreditate. Ma la banca dati di Accredia è talmente sovraccarica di informazioni che trovare il dato giusto non è affatto semplice: il sito non carica. Un processo decisamente meno intuitivo rispetto alla piattaforma ad hoc che la legge prevedeva, pensata proprio per raccogliere tutto in un unico posto, ma che non è mai stata realizzata. «Chi ha il dovere tecnico di far rispettare le leggi, approvate all’unanimità, deve farle funzionare. Questo è il compito dei ministeri, dei funzionari e della Consigliera Nazionale della Parità», commenta Gribaudo.

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