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Solo in due non hanno mollato Chiara Ferragni dopo il Balocco gate. Morellato e Mofra avanti con i contratti, ora Calabi in causa con gli altri

25 Marzo 2025 - 17:21 Fosca Bincher
Chiara Ferragni e i marchi che la sostengono
Chiara Ferragni e i marchi che la sostengono
Il piano di risanamento di Fenice che era sull’orlo del fallimento passa anche attraverso transazioni legali con i committenti dell’influencer spariti dalla sera alla mattina temendo di essere contagiati nel crollo reputazionale

ono solo due i marchi che non hanno abbandonato Chiara Ferragni subito dopo la crisi del pandoro-gate del dicembre 2023. Tutti gli altri hanno interrotto già in quel mese o nelle settimane immediatamente successive i contratti di licenza in corso, preferendo affrontare una causa per il risarcimento danni (poi intentata) all’essere coinvolti nella caduta reputazionale della principale influencer italiana. I soli a non avere rotto il contratto con la Ferragni sono stati l’azienda di gioielli Morellato e il marchio di calzature Mofra, che per altro è di proprietà di quel Pasquale Morgese, azionista dissidente di Fenice, nella cui assemblea straordinaria ha votato contro il piano di risanamento avvallato dalla influencer.

La grande crisi finanziaria di Fenice a un passo dal portare i libri in tribunale

Il tentativo di non fare fallire Fenice, che si trovava finanziariamente nella classica situazione in cui portare i libri in tribunale, porta la firma di Claudio Calabi, il manager di lunga data (ex ad di Camuzzi, Risanamento, Rcs e Sole 24 Ore e tanti altri gruppi) che ha preso in mano la crisi Ferragni diventando amministratore unico di Fenice nell’autunno scorso. Calabi ha portato in assemblea lo scorso 17 marzo la situazione finanziaria del gruppo al 30 novembre 2024, da cui emergevano perdite superiori ai 10 milioni di euro dall’apertura del caso Balocco e ha imposto per la continuità aziendale un aumento di capitale da 50 mila euro con sovrapprezzo di 6,3 milioni di euro dopo avere prosciugato capitale sociale (3,5 milioni di euro) e riserve di bilancio (493.994 euro) per coprire almeno parzialmente il buco creato dallo scandalo del pandoro e delle uova di Pasqua. Un piano di risanamento o meglio di tenuta in vita della società passata dai 12,5 milioni di fatturato del 2022 al fatturato di 1,314 milioni di euro registrato nei primi 11 mesi del 2024, approvato però solo dalla Sisterhood della Ferragni e dal primo azionista Alchimia (Paolo Barletta), ma bocciato proprio da Morgese con le sue due società Esuriens srl e N1 srl. Morgese che per altro sembra essere la prima vittima del Ferragni-gate, visto che secondo alcune stime nel 2024 le vendite delle sue Mofra sarebbero crollate del 40 per cento.

Claudio Calabi

La risposta anche legale di Calabi a chi ha mollato di punto in bianco la Ferragni

Secondo Calabi la grande perdita finanziaria di Fenice “ non è stata determinata da una crisi commerciale verificatasi nel 2023, ma è strettamente correlata alla sanzione amministrativa inflitta a carico della società da parte dell’AGCM, sul finire dell’esercizio, per l’importo di 400.000 euro per presunta pratica commerciale scorretta in relazione alla campagna vendita dei pandori realizzata con Balocco Spa, nonché alle conseguenti ricadute mediatiche negative sull’immagine e sul marchio Chiara Ferragni”. Il manager nella sua nota illustrativa dei conti fa capire che continuerà a dare battaglia a chi ha mollato la Ferragni di punto in bianco pure avendo contratti che sarebbero stati a lungo ancora efficaci. L’irrogazione della citata sanzione”, scrive Calabi, “ha provocato una immediata ed altrettanto mediatica (e discutibile) reazione di allontanamento da parte di uno dei principali licenziatari del marchio e, di seguito, quella di altri licenziatari. In breve tempo quasi tutti i contratti di licenza sono stati sospesi e/o risolti, ovvero sono state avviate articolate trattative tese alla rinegoziazione dei rapporti e/o alla loro chiusura consensuale. In alcuni casi le trattative sono state infruttuose e ad oggi è pendente un contenzioso”. Non sono citati i nomi delle aziende, ma quelle che avevano contratti in corso alla vigilia della crisi erano Safilo, Cartiere Pigna, L’Oreàl, Swinger, Nanan e altre ancora. Non si sa ad esempio che fine abbia fatto il profumo con il nome dell’influencer che Angelini Beauty (poi AB Parfums) avrebbe dovuto lanciare a fine 2023 spostando poi tutto al 2024.

La catena di vendita restata solo on line e quei rapporti finanziari con Deutsche bank

Chiuse anche le catene commerciali fisiche che erano state lanciate con una società controllata, la Fenice Retail, la Ferragni vende qualcosa delle sue collezioni esclusivamente con la rete di e-commerce o incassa ancora qualcosina facendo da testimonial sul suo profilo Instagram. Fin da subito ha tagliato le spese, ad esempio riducendo il personale dipendente (gli accantonamenti per il Tfr si sono ridotti di 162.330 euro) e disdettando fin dal 7 gennaio 2024 il contratto di affitto che Fenice aveva per la sua sede a Milano in via Turati. I rapporti con il padrone di casa però sono continuati anche perché Fenice aveva costituito pegno con Deutsche bank per 448.486 euro per un finanziamento a chi le aveva locato quella sede. Con Deutsche Bank però sono anche statti investiti 705 mila euro in fondi comuni di investimento.

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