Il piano sequenza di Adolescence, lo schianto sul male inatteso. Ecco perché la miniserie tv di Netflix urtica ma ti tiene incollato


Un colpo allo stomaco, una vera frustata dallo schermo. C’è chi non è riuscito a vedere la terza puntata come avesse di fronte il più terribile degli horror. Ma in Adolescence, la miniserie tv (4 episodi) vista da 25 milioni di persone in tutto i mondo mettendola al primo posto nella categoria in ogni classifica di Netflix non c’è manco un a goccia di sangue ripresa. C’è sbattuta in faccia la forza spaventosa e brutale del male che alberga in ogni uomo, anche nel più insospettabile. Qui il volto simbolo dell’innocenza è quello di un adolescente, 13 anni, Jamie. Alla prima inquadratura è un angioletto, interpretato in modo sorprendente dall’altrettanto giovane Owen Cooper, classe 2009, talento scoperto dal regista Philip Barentini.
Succede tutto nel primo episodio, che è subito un pugno nello stomaco
La trama è semplice, e si scopre tutto nel primo episodio. In una villetta inglese nello Yorkshire irrompe uno squadrone di polizia in tenuta tattica simili a quelli che fanno il blitz per catturare un boss della mafia o un pericoloso terrorista. Sfondano la porta, chiedono a tutti di buttarsi a terra ed entrano alle 6 del mattino nella stanza dell’angioletto che dorme ancora con un orsacchiotto. Lo prendono, lo accusano di omicidio e lo portano in centrale consentendo a papà Eddie, mamma Manda e alla sorellina maggiore Lisa di seguirli. Jamie finisce in una sorta di cella, la famiglia accetta un avvocato di ufficio, parte l’interrogatorio alla presenza del padre, che può assistervi come garante del minore. Jamie come ha fatto fin dal primo momento piangendo protesta la sua innocenza. E prima dell’interrogatorio solo con il padre in una stanzetta giura di non c’entrare nulla con le accuse. Il padre gli crede. Il ragazzino risponde alle domande dei poliziotti dicendosi sempre innocente. Quelli aprono il computer e fanno vedere il filmato di una telecamera di sicurezza in cui Jamie è ripreso passeggiare con due amici, staccarsi da loro, raggiungere la compagna e coetanea Katie, discutere con lei e poi colpirla con un coltello non una, ma sette volte. I poliziotti abbassano lo schermo del computer, Jamie scoppia in un pianto dirotto senza dire una parola. Il volto di papà Eddie si trasforma, distrutto dal dolore e dalle lacrime mormorando solo «Perché?».
Gli altri tre episodi e quello con la psicologa che urta più di un film horror
Tutti i fatti sono qui, non c’è molto da aggiungere nelle puntate successive. Eppure, ognuna di loro è un film a sé. Il secondo episodio è l’inchiesta dei poliziotti per aggiungere quel poco che non sanno: ricostruire l’ambiente in cui tutto è nato, provare a trovare il coltello del delitto. Si svolge tutta nella scuola del paese, in cui vedi a occhio nudo come quel male riesca ad emergere o ad essere familiare con tutti i ragazzi che lì dovrebbero studiare. Il terzo episodio è un capolavoro a sé di recitazione e di sceneggiatura: si svolge tutto in una stanza nella struttura psichiatrica minorile (non un carcere, non può finirvi chi ha meno di 14 anni). Un tavolo e da una parte Jamie, dall’altra Briony Ariston, che deve capire cosa è accaduto dentro di lui. È la puntata che a molti ha fatto l’effetto di un horror, perché la psicologa con grande tecnica tira fuori da Jamie tutto il mostro che abitava in lui. Il quarto episodio riprende la vita della famiglia di Jamie il giorno del compleanno del padre, nell’attesa del processo al figlio, schernita ed evitata dai vicini e dagli abitanti del paese e tentata di trasferirsi altrove. I genitori lo avrebbero fatto, sfiniti. La figlia li ferma con uno dei passaggi più belli della intera serie, spiegando che altrove sarebbe stato più facile all’inizio. Ma poi quel che è accaduto si sarebbe saputo anche là, e tutti loro sarebbero stati definiti solo dall’essere familiari dell’assassino-bambino. E invece, dice Lisa con grande profondità e amore «noi siamo Jamie».
C’è il male nell’uomo, e quando esplode così imprevisto e imprevedibile dove mai avresti pensato potesse albergare, sbatti il muso contro il reale. È quello che hanno fatto tutti i telespettatori di Adolescence. La forza della serie è proprio questa. Se ne vorrebbe fuggire lontano, spegnere la tv, gridare che non è possibile. Pochi probabilmente avranno fatto e capito la scelta di Lisa, quella di abbracciare il male perché è nell’uomo e quell’ometto è proprio l’adorato fratellino, che non potrà mai essere definito del tutto e solo dall’orrore di quello che ha fatto. Se però la tentazione non ha fatto spegnere lo schermo a milioni di persone è anche per l’urto incredibile della tecnica con cui sono stati girati i quattro episodi. Tutti solo in piano sequenza, come non era mai avvenuto, girando di filato ogni puntata anche a costo di ripetere fino a 16 volte l’intero episodio finché nessun attore avesse sbagliato la battuta e nessun cameraman avesse fatto errori nelle inquadrature.
Ogni puntata è girata senza interruzioni e montaggio. Non era mai accaduto nel cinema
È grazie a questa scelta tecnica non comune nel mondo della cinematografia che non si riesce mai a staccarsi e ad abbandonare Adolescence, perfino quando è urticante e respingente. Ogni puntata è stata registrata in continuo, senza successivo montaggio. Chi aveva in mano le steadycam più che un operatore si è rivelato un atleta e perfino un acrobata. Perché da un primo piano era in grado di allargare la scena, correre dietro un ragazzo che scappava, agganciare la camera al volo a un drone che si alzava in cielo a fare vedere il parcheggio dove è stato consumato il delitto, abbassandosi poi sui mazzi di fiori portati da mano pietosi e ritornare su uno degli attori lì vicino. Nessun montaggio, ma siccome gli errori tecnici e anche i vuoti di memoria degli attori ci sono, ogni volta che si sbagliava si ricominciava tutto da capo. Un episodio è stato girato al secondo ciack, ed è stata una fortuna. Perché invece uno degli episodi è stato ripetuto 16 volte prima che tutto filasse liscio. Nel cinema una tecnica simile è stata usata nei primissimi film (esisteva solo il piano sequenza) e in tempi contemporanei in un grande successo come Birdman di Aleandro Gonzales Inarritu. Ma in questo caso come in quegli albori della macchina da presa il piano sequenza unico è stata una finzione, perché il prodotto finale è stato montato correggendo anche in quel modo gli errori. Nessuno ha mai osato quello che è stato fatto in questa mini serie.
Oltre alla tecnica coinvolgente c’è la bravura degli attori, su tutti quella di papà Eddie
Se la tecnica è stata l’arma decisiva per rendere così coinvolgente la visione di Adolescence, non da meno è stata la capacità recitativa ed espressiva degli attori. Abbiamo citato all’inizio il ragazzino, che si farà sicuramente strada nel cinema e infatti è già pieno di proposte. Ma l’attore chiave delle quattro puntate è papà Eddie, impersonato da Stephen Graham, ruoli minori in una cinquantina di film (fra cui la saga di Pirati dei Caraibi) e di una trentina di serie tv (fra cui Peaky Blinders), e qui dopo lunga carriera alla sua prima vera esperienza da co-protagonista. È il suo volto con le rughe sulla fronte, gli occhi che si fanno piccoli nel dolore, le mani grosse da lavoratore su cui poggia gran parte della sceneggiatura. È il fiume in piena che scorrerebbe in chiunque di noi sia padre. L’incredulità, la fiducia nel figlio, lo smarrimento davanti alla mazzata della prova video, la resistenza così umana al fatto che quella che ha visto possa essere la realtà, il male davanti a te senza che tu l’abbia mai avvertito. E poi la resa all’evidenza, il cuore che si spacca. E poi però si allarga, abbraccia quel figlio comunque vada. Perché è così che il male si sconfigge: abbracciandolo. Che bella serie…