«Io, malato, ho paura che lo Stato mi uccida. Perché dico no al suicidio assistito»


Lorenzo Moscon è affetto da una patologia incurabile. È uno dei quattro malati gravi che hanno chiesto di essere ammessi in giudizio davanti alla Corte Costituzionale. Che oggi tornerà a occuparsi di suicidio assistito. Nel procedimento Cappato ter, che riguarda l’articolo 580 del Codice penale. E la parte in cui prevede «la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione in modo libero e consapevole». Moscon ha paura che lo Stato lo uccida. Per questo dice no al suicidio assistito.
Triplegia spastica
Il malato parla oggi in un’intervista a La Verità. È affetto da triplegia spastica dalla nascita. Vive nell’hinterland milanese. Spiega che gli è stato proposto di intervenire con altre persone all’udienza «affinché la Corte possa ascoltare anche una voce diversa da quella di Cappato. In ballo, c’è la discussione sul trattamento di sostegno vitale e sul fatto che debba rimanere o meno un requisito necessario per non punire coloro che aiutano un malato a suicidarsi. Noi chiediamo di essere ammessi al processo per spiegare perché quel requisito deve rimanere: chi aiuta qualcuno a suicidarsi dovrebbe essere punito ma, se proprio si depenalizza l’aiuto al suicidio, almeno il fatto di ricevere un sostegno vitale deve restare una delle condizioni per potere accedere al suicidio assistito depenalizzato».
Ius vitae necisque
Secondo Moscon, che parla in un’intervista a firma di Giuliano Guzzo, «si stanno compiendo una serie di passi che, come già successo in altri Stati europei, un domani potrebbero portare qualcuno – che sia il giudice, che siano i medici dell’ospedale o che sia un’alleanza tra i due – a decidere, come dire, ad esercitare uno Ius vitae necisque che nessuno di loro ha mai acquisito, in base a nessuna legge, su un malato, su un paziente che giunga a una condizione clinica tale per cui non è più in grado di esprimersi; segnalo a questo proposito le testimonianze di alcuni pazienti che hanno raccontato: “In quel periodo ero in stato non responsivo e sembravo un vegetale, ma in realtà ero cosciente, ed ero terrorizzato perché sentivo i medici che volevano praticarmi l’eutanasia e io non potevo fare nulla”. Con questo non voglio naturalmente criminalizzare i medici, ma solo evidenziare come sia un problema culturale e di mentalità, quello che si sta creando».