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Il precedente del chirurgo di Simonetta Kalfus: «Prometteva una quarta di seno, me l’ha deformato»

simonetta karfus chirurgo carlo bravi deformato
simonetta karfus chirurgo carlo bravi deformato
Condannato a un anno con pena sospesa, ha continuato a lavorare

Si chiama Carlo Bravi il chirurgo estetico che ha operato Simonetta Kalfus, morta dopo una liposuzione. E prima di quell’operazione c’è un precedente. Che è andato in scena nel 2017 in via Firenze a Roma, dalle parti di via Nazionale. Il 73enne promuoveva una quarta misura di seno con il passaparola. Fino al caso di Pamela Maggi. Che è costato a Bravi una condanna in primo grado a un anno di reclusione. Ma non la sospensione dall’Ordine dei Medici. Per questo ha continuato a lavorare.

Il chirurgo estetico e la quarta di seno

La storia la racconta oggi il Corriere della Sera. Il 27 novembre 2017 Maggi va nel poliambulatorio di via Firenze per un lifting al seno dopo una gravidanza. È in compagnia del marito e della madre. E trova all’entrata uno scaldino casalingo. Che le desta qualche preoccupazione. Bravi le dice che l’intervento durerà al massimo 50 minuti. E lei entra in sala operatoria. Dalla quale, metteranno successivamente a verbale i parenti, esce il dottore: «E, insomma, c’aveva il camice un po’ sporco di sangue, un po’ di cose, dice: “Non è mai successo, nell’operazione ho reciso un muscolo, c’è stata un’emorragia ma nulla di che, e niente, tutto a posto, aspettiamo che si riprende dall’anestesia”».

Acqua e zucchero

Nel frattempo la paziente è incosciente. «A questo punto (i familiari, ndr ) proponevano di allertare il 118 ma l’imputato, continuando a rassicurarli, si offriva di riaccompagnarla direttamente a casa e quindi, seguendo con la propria autovettura quella del marito, aiutava quest’ultimo a portarla in braccio fino alla loro abitazione». Il giorno dopo Maggi non riesce ad alzarsi dal letto. Nemmeno per andare in bagno. Ha dolori e un senso di spossatezza. E Bravi suggerisce «di somministrarle ”acqua e zucchero”». La donna in un messaggio su WhatsApp fa sapere al medico che «dal capezzolo destro si vede una cicatrice nera e esce del liquido, tutto nella norma?». Ma lui non risponde. Lei ha anche bruciore sotto le ascelle, mentre la ferita emana odori sgradevoli.

Il ricovero

Bravi però non si trova. E lei chiama il medico di base, che la fa ricoverare al policlinico Umberto I. Parte la denuncia e con questa l’indagine. La pm Eleonora Fini dispone una consulenza. Bravi ha commesso tre errori. Aveva promesso un lifting ma ha eseguito una mastoplastica additiva. Deformando «in un modo grottesco e innaturale» il seno della paziente. La cartella clinica era assai scarna e sembrava un tentativo per nascondere le negligenze. Infine, il mancato ricovero in una struttura attrezzata. La pena di un anno di carcere è sospesa. Intanto Bravi il 6 marzo effettua una liposuzione sulla Kalfus: lei muore 12 giorni dopo, l’autopsia parla di sepsi, il corpo pieno di infezioni.

Gli altri procedimenti

Repubblica, che pubblica una foto di Bravi, parla anche degli altri procedimenti che riguardano il chirurgo. Laureato nel 1979, ha fatto due master a San Marino tra 2004 e 2009 per la chirurgia estetica. Nel 2012 è finito nei guai per le slot machine. Da amministratore unico della S. F. Multiservizi S. r. l., che si occupava della «gestione di apparecchi che consentono vincite in denaro funzionanti a moneta o a gettone». La sede era in via Albalonga. Su di lui le inchieste in totale sono cinque, due le condanne. C’è anche un processo per lesioni colpose: Queste sono le contestazioni formulate sempre dal pm Vincenzo Barba nel capo d’imputazione: « protesi mammaria infetta, addominoplastica con esiti errati, rischio chirurgico aumentato».

I carabinieri

In un terzo procedimento Bravi è accusato di esercitare attività diagnostiche nello studio di piazza Re di Roma senza le autorizzazioni necessarie. I carabinieri del Nas, nel 2013, avevano sequestrato la struttura per gravi carenze igieniche dopo aver trovato le protesi mammarie ammassate sulla scrivania. E avrebbe utilizzato il timbro di un altro medico per una ricetta. Il legale del chirurgo, Anna Scifoni, per il momento preferisce non commentare: «I processi si fanno in tribunale».

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