Russia, la giornalista Maria Ponomarenko di nuovo condannata dopo il tentato suicidio in carcere


Il 17 marzo, in Russia, la giornalista Maria Ponomarenko ha tentato il suicidio in carcere, cercando di tagliarsi le vene, dopo essere stata arrestata nel 2022 e successivamente condannata a 6 anni di reclusione per un post Telegram contrario alla propaganda del Cremlino. Come ben riportato da Amnesty International, Maria aveva osato raccontare la verità sul «bombardamento del teatro di Mariupol, in Ucraina, da parte delle forze russe, con un breve commento che denunciava la morte dei civili che erano rifugiati all’interno». Oggi, come riportato dal media indipendente russo Sota Vision, Maria è stata condannata a un altro anno di reclusione con l’accusa di aver aggredito due ufficiali come reazione per i maltrattamenti subiti.
Come raccontato da Sota Vision nel lungo post su X, Maria Ponomarenko si era rifiutata di comparire davanti a una commissione disciplinare dopo essersi lamentata di essere senza scarpe. Non si tratta dell’unica denuncia sulle condizioni in cui si trova in carcere, ritenute prossime alla tortura. Nonostante soffra di disturbi dissociativi e claustrofogia, è stata messa in isolamento per ben 13 volte. La giornalista russa ha denunciato anche violenze nei suoi confronti da parte dei dipendenti del carcere, subendo colpi allo stomaco, calci e persino sbattuta contro i muri. Se da un lato le viene impedito di lavarsi, dall’altro le viene aperta solo l’acqua ghiacciata per potersi fare la doccia.

L’altra faccia della “libertà di stampa” in Russia
Capita spesso che la classifica annuale di Reporters Without Borders (Reporter senza frontiere, RSF) venga citata in maniera fuorviante per denunciare una mancanza di libertà di stampa nel nostro Paese. Un’opera di disinformazione che potrebbe accadere nuovamente, proprio da chi è stato etichettato come «strumento di propaganda» del regime russo, volto a «inquinare lo spazio informativo». Non a caso, la Russia “gode” di una posizione di prestigio tra i peggiori al mondo nella classifica aggiornata al 2024 dalla ONG: 162ª su un totale di 180, peggio persino della Palestina (157ª). Nel frattempo, c’è chi recentemente si è lamentato per essere stato citato in un’interrogazione parlamentare in Italia, rimanendo in silenzio su quanto accade ai suoi “colleghi” russi.
Andrea Lucidi è uno degli italiani che operano attivamente da megafono alla narrazione russa, noto per indossare la “Z” al braccio durante l’invasione russa in Ucraina. Aveva negato, ad esempio, la strage di Bucha da parte dell’esercito russo («Ritengo che Bucha sia una montatura», 17 luglio 2023) nonostante le prove schiaccianti riportate dai media indipendenti e vincitori del Premio Pulitzer. Del resto, coloro che negano la strage sotto il regime di Putin rischiano l’arresto e il carcere, come nel caso di Ilya Yashin, condannato nel 2022 a 8 anni e mezzo di reclusione. «Il sangue di Bucha serve a mostrare agli occidentali quello che siamo: temeteci» aveva persino osato dichiarare nel 2022 il propagandista russo Maksim Fomin, poi ucciso a San Pietroburgo nell’aprile 2023.

Collegato dall’estero, in particolare dal Donbass, lavora come “caporedattore” per il sito russo International Reporters, «mascherato da organo di informazione professionale per diffondere la disinformazione russa» secondo quanto dichiarato da Reporters Without Borders (Reporter senza frontiere, RSF). In un articolo a sua firma, pubblicato il 10 novembre 2024, parla di sé in terza persona per informare i lettori di aver inviato una lettera a Vladimir Putin per chiedere la cittadinanza russa.

Il 22 marzo 2025, il “caporedattore” condivide sul suo canale Telegram un post della sezione italiana di “International Reporters” in cui viene festeggiata la presunta morte di un soldato ucraino, ringraziando un anonimo cecchino russo e il Canada, ritenuto responsabile per aver fornito un casco scadente agli ucraini: «Grazie, cecchino russo, grazie, Canada, per aver accelerato l’incontro con il diavolo grazie al tuo misero sostegno all’Ucraina!».

Un suo recente intervento da remoto a Udine, presso l’Hotel Là di Moret, dove si è tenuta la proiezione di opere di propaganda anti Ucraina prodotte dall’emittente finanziata dal Cremlino Russia Today (oggi nota come RT), è stato citato in un’interrogazione parlamentare presentata dalla deputata Debora Serracchiani. La reazione del collaboratore dei russi non si è fatta attendere: «Siamo arrivati al punto in cui un giornalista può essere oggetto di un atto parlamentare semplicemente per aver deciso di raccontare l’altra faccia di una guerra», ha scritto lo stesso Lucidi in un post su X. Nessun intervento, su X o Telegram, per sostenere Maria. Una mancanza comprensibile, considerato quanto rischia sotto il regime di Putin.