Lo scrittore Walter Siti e il «club segreto» di Milano dove si fanno «ammucchiate curiose»: «Ho incontrato un giovane autore in tacchi alti»


Lo scrittore Walter Siti ama documentarsi. E adesso che sta scrivendo un saggio sulla fragilità dei giovani ha voluto visitare il Tempio, «un club segreto di Milano dove si fanno ammucchiate curiose. E lì sono stato subito riconosciuto, anche perché mi si notava per un cappotto totalmente fuori contesto». Lì ha incontrato persone che conosceva. Tra queste, «una ragazza che lavora nell’editoria mi fa: noi ci siamo conosciuti in altro contesto. Un giovane scrittore di cui non farò il nome è venuto a salutarmi calorosamente in gonnellina scozzese e tacchi alti. Per fortuna, non mi sono lasciato andare e mi accompagnava il mio consorte».
Il Tempio
Siti oggi si presenta in posti dove si comprano abiti griffati, si fanno aperitivi e selfie. «Vede la posa, l’abbigliamento, le unghie smaltate per i maschi… È come se fossero sempre pronti per diventare un’immagine. Non sono quello che sono, ma quello che è bene che siano per i social», dice a Candida Morvillo che lo intervista per il Corriere della Sera. Dei giovani ha scritto nell’ultimo romanzo, che si chiama “I figli sono finiti”. E racconta di un giovane solitario e geniale che stringe amicizia con un professore innamorato di un escort.
Poi dice che gli interessano i giovani «perché vivo attraverso di loro un’adolescenza mai vissuta. A 15 anni, ne dimostravo 40: non uscivo mai, passavo la giornata a leggere. La cosa strana è che tengo a questi ragazzi, faccio il tifo per loro. Sto cercando di capire se la fragilità che attribuiscono loro è vera. Nelle università americane ci sono safe zone dove gli studenti possono rifugiarsi se l’argomento di una lezione li turba».
Ventenni fragili o adulti incapaci
«Mi ostino a pensare che sono gli adulti ad aver bisogno di un’immagine così fragile dei ventenni perché, non potendo migliorare il mondo, pensano: almeno, mi occupo dei miei figli. Come se fosse l’unica attività non narcisistica che possano permettersi», conclude. I protagonisti dei suoi romanzi «sono proiezioni mie. E poi capisco quella specie di nichilismo, tipo “non me ne frega niente, andassero tutti a quel paese”. Lo capisco perché non è lontano da me. Infatti, nei libri, mi sono sempre interessato degli aspetti più grotteschi del neocapitalismo e del neoconsumismo ed è stato un modo per dire: vediamo come ci siamo ridotti, che mondo abbiamo creato».
L’aborto
Poi racconta del figlio che non è mai nato: «Prima del ’68, mi è capitato di aspettarne uno. Io avevo vent’anni e anche la ragazza e, soprattutto, io ero omosessuale e lei lo sapeva. Ci hanno aiutato ad abortire i Radicali. Dopo, non ho più pensato di diventare padre. Oggi, il mio consorte dice che ho sei anni e che il bambino sono io. Però, ho pianto quando ho letto il finale de Gli sdraiati di Michele Serra. C’è il padre che, per tutto il libro, cerca di convincere il figlio a scalare con lui il colle della Nasca e, quando finalmente vanno e si accorge che il figlio è in vetta, dice: ora, posso diventare vecchio. Il fatto che quel giovane lo hai fatto tu e solo quando diventa indipendente puoi permetterti di diventare vecchio mi ha commosso perché ho pensato che, allora, io vecchio non lo posso diventare mai. Io sono condannato a essere un adolescente eterno».
Gli uomini nudi
Rivela come è diventato scrittore: «Ci ho messo dodici anni a scrivere quel mio primo romanzo. Nell’86-87 era intervenuta una crisi. Preparavo un saggio su Giacomo Leopardi e mi dissi: se continuo a fare il critico letterario, mi ammazzo, mi butto dalla finestra». Voleva uccidersi perché «non potevo occuparmi per tutta la vita di cose scritte da altri. O riuscivo a scrivere qualcosa che mi interessasse davvero o tutto era inutile. Era questione di vita o di morte. La folgorazione fu che la cosa che mi interessava davvero erano gli uomini nudi».
Il rapporto con la madre
La folgorazione gli venne «guardando la mia collezione di film porno, ero nella mia soffitta, a Pisa. Il colpo di fortuna intellettuale fu capire che questo interesse così ossessivo aveva a che fare col rapporto con mia madre ed era legato a un rapporto di potere fra me e gli altri uomini, quindi a un discorso più pubblico, quello del desiderio su cui fa leva il consumismo, dell’esplosione del corpo come merce. Questo rese il romanzo più presentabile». E questo perché «ho avuto una mamma che mi reificava e, quando partivo, sveniva alla stazione per il dispiacere. Il corpo del culturista ricorda quello delle donne degli anni ’50, vita stretta, glutei e petti imponenti, ma è privo della voragine che mi può inghiottire, è un corpo materno senza pericoli».
La nascita
Parla della sua nascita in chiave metaforica: «Mamma raccontava la mia nascita come una scena horror: nato in ritardo di 15 giorni, podalico, uscì prima un piede e l’infermiera, per tirarmi fuori, si mise a saltarle sulla pancia. Sono cresciuto con l’idea che non volevo venir fuori da lì. Ultimamente ho riletto America di Kafka e mi sono immedesimato nel ragazzo che va a New York e trova tutto incomprensibile, come se il mondo fosse un posto di farfalle, per cui, a forza di fare l’entomologo, diventa un insetto». E lei cosa diventerà? «Spero di morire prima di saperlo».
ChatGPT
Infine, spiega qual è il problema tra la scrittura e l’intelligenza artificiale: «Ho chiesto a ChatGPT di scrivere un incipit alla Carlo Emilio Gadda e uno alla Fabio Volo. Quello di Volo era verosimile: parlava di un ragazzo in vespa, che pensava alle ragazze che l’avevano lasciato eccetera. Quello di Gadda, non c’entrava niente con lui. ChatGPT non riuscirà mai a imitare Gadda perché, se presto avrà una coscienza, sarà molto difficile che acquisti un inconscio. Già oggi, molti libri appartengono a categorie retoriche: il patriarcato, il migrante e le fatiche di attraversare il mare… Cose talmente stereotipate che per l’intelligenza artificiale non saranno difficili da riprodurre».