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La Cedu condanna l’Italia per aver violato i diritti di un giovane detenuto malato: «Trattamenti inumani e degradanti»

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La sentenza riguarda Simone Niort, un 28enne in carcere in Sardegna da otto anni con disagio psichico. Per i giudici di Strasburgo, lo Stato italiano non ha garantito al giovane il diritto alla salute e alle cure mediche

Per la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), l’Italia non ha garantito a Simone Niort, un detenuto con problemi psichiatrici, il diritto alla salute e alle cure mediche. Il giovane di 28 anni, in carcere da quando aveva 19 anni, ha tentato il suicidio in cella una ventina di volte in otto anni, e compiuto decine di atti di autolesionismo. Una situazione per cui la Cedu ha riconosciuto la responsabilità dello Stato italiano: Niort doveva essere, infatti, trasferito in una struttura idonea per le terapie. «Le autorità nazionali non hanno dimostrato di aver valutato in modo sufficientemente rigoroso la compatibilità del suo stato di salute con la detenzione – ha spiegato il legale di Niort, Antonella Calcaterra – accertando la mancata esecuzione di un provvedimento giudiziario che disponeva il trasferimento del ricorrente in una struttura penitenziaria più adatta alle sue gravi condizioni». Mentre il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, rendendo nota la decisione della Corte, ha sottolineato: «Sebbene non vi sia un obbligo generale di liberare una persona detenuta per motivi di salute, in certe situazioni il rispetto dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, che vieta i trattamenti inumani e degradanti, può imporne la liberazione o il trasferimento in una struttura di cura. Ciò si verifica, in particolare, – continua – quando lo stato di salute del detenuto è talmente grave da rendere necessarie misure di carattere umanitario, oppure quando la presa in carico non è possibile in un contesto penitenziario ordinario, rendendo necessario il trasferimento del detenuto in un servizio specializzato o in una struttura esterna».

La vicenda

L’arresto e la successiva carcerazione di Simone Niort comincia nel 2016. Fin da allora, il giovane inizia a compiere svariati atti di autolesionismo e, dopo una perizia psichiatrica, l’Ufficio di Sorveglianza nel novembre 2022 ordina al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) di individuare un istituto idoneo a ospitarlo. Un primo errore sulla mancata identificazione di un percorso di cura alternativo al carcere – spiegano fonti che seguirono il dossier – sarebbe da ricercare nella procedura. Ovvero, la Sorveglianza avrebbe dovuto chiedere all’autorità amministrativa sanitaria competente e non al Dap. Ma a causa della carenza strutturale di specifici luoghi di cura in Sardegna, Niort resta in carcere finendo regolarmente in un cella di transito per non recare danni ad altri o a sé stesso, restando però isolato e senza svolgere attività educative. Nel frattempo, il giovane ha continuato a tentare il suicidio più volte e a commettere numerosi atti di autolesionismo, una condizione che ha portato il suo difensore, insieme agli avvocati Antonella Mascia, Antonella Calcaterra e al docente di diritto pubblico dell’Università Statale di Milano Davide Galliani, a rivolgersi ai giudici di Strasburgo che, ieri, giovedì 27 marzo, hanno condannato l’Italia.

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