Solo chi ha nonni o genitori italiani potrà ottenere la cittadinanza alla nascita. La stretta del governo Meloni sui residenti all’estero


Il governo stringe le maglie sulle richieste di cittadinanza che arrivano dall’estero per ius sanguinis, cioè come discendenti di cittadini italiani. E lo fa modificando con un decreto-legge i criteri per poterla ottenere: sarà possibile acquisire la cittadinanza solo se il legame con un ascendente italiano risale a un massimo di due generazioni e, in ogni caso, il genitore o il nonno dovrà essere nato in Italia. È questo uno dei provvedimenti discussi oggi, 28 marzo, durante il Consiglio dei ministri. Sul tavolo anche il decreto che prevede la riattivazione dei centri in Albania di Shengjin e Gjader, ripensati come centri di permanenza per il rimpatrio. Una mossa che consente di sbloccare il progetto della premier Meloni e dell’omologo Edi Rama, rimasto arenato per mesi, ma che ora potrebbe rimettersi in moto, seppur con la necessità di rivedere i patti con Tirana.
Non oltre la seconda generazione
Il decreto legge sulla cittadinanza, fortemente voluto dalla Farnesina e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, segna una stretta nella normativa italiana. In Italia è attualmente in vigore lo ius sanguinis, che permette a chiunque possa dimostrare di avere un ascendente italiano (un legame di sangue, appunto), anche lontano nel tempo, di ottenere la cittadinanza, indipendentemente dal luogo di nascita. Questa norma ha portato negli anni a un massiccio flusso di richieste, soprattutto dal Brasile e dal Venezuela, Paesi che ospitano una numerosa comunità di discendenti di italiani emigrati durante il secolo scorso, comunemente noti come oriundi. Ora, con il nuovo decreto, le regole cambiano. Gli italo-discendenti nati all’estero potranno essere cittadini italiani solo per due generazioni. In pratica, solo chi ha un nonno o un genitore italiano sarà considerato cittadino italiano fin dalla nascita. Le modifiche sono già vigenti, dalla mezzanotte di ieri, 27 marzo.
Il primo disegno di legge
Al decreto legge, si aggiungono due disegni di leggi. Il primo stabilisce che gli italo-discendenti devono esercitare i diritti e i doveri di cittadinanza almeno una volta ogni 25 anni. Per farlo, sarà necessario partecipare a una delle seguenti azioni: votare, rinnovare il passaporto, aggiornare la carta d’identità o mantenere una situazione anagrafica regolare, come il pagamento delle tasse. Inoltre, per chi è nato all’estero, sarà obbligatorio registrare l’atto di nascita prima del compimento dei 25 anni. In caso contrario, non sarà più possibile richiedere la cittadinanza italiana in seguito. Il figlio minore di genitori cittadini italiani, se non nato in Italia, acquista la cittadinanza se risiede in Italia per almeno due anni, previa dichiarazione di volontà da parte dei genitori.
Il secondo disegno di legge
La riforma è completata da un secondo disegno di legge che rivede anche le procedure per il riconoscimento della cittadinanza. I residenti all’estero non si rivolgeranno più ai consolati, ma ad un ufficio speciale centralizzato alla Farnesina. Ci sarà un periodo transitorio circa di un anno per l’organizzazione dell’ufficio. L’intento è rendere più efficienti le procedure, con economie di scala evidenti. I consolati dovranno concentrarsi sull’erogazione dei servizi a chi è già cittadino e non più a “creare” nuovi cittadini. Anche le spese per richiedere la cittadinanza aumentano. Se inizialmente erano di 300 euro, dopo gennaio sono salite a 600 euro e ora si prevede un ulteriore aumento a 700 euro. «Essere cittadini italiani è una questione di grande responsabilità e la concessione della cittadinanza deve essere trattata con la dovuta serietà – ha commentato il ministro degli Esteri durante la conferenza stampa in conclusione del Cdm – Purtroppo, nel corso degli anni, ci sono stati abusi e richieste di cittadinanza che andavano oltre il genuino interesse verso il nostro Paese. Verranno posti limiti precisi soprattutto per evitare abusi o fenomeni di commercializzazione dei passaporti italiani». Il ministro ha poi portato alcuni dati «L’Argentina è passata dai circa 20.000 del 2023 a 30.000 riconoscimenti già l’anno successivo. Il Brasile è passato da oltre 14.000 nel 2022 a 20.000 lo scorso anno».