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Terremoto in Myanmar, le bombe nella regione dell’epicentro e gli aiuti bloccati alla frontiera: così il regime militare non sa che cosa fare

Ponte crollato Myanmar
Ponte crollato Myanmar
Neanche dopo 24 ore dalla prima potentissima scossa si sono fermati i raid aerei del regime militare contro i cosiddetti ribelli. La guerra civile nell'ex Birmania rischia di frenare l'arrivo degli aiuti umanitari. La stima dell'Onu sui 20 milioni di persone che hanno bisogno di soccorso

A due giorni dal terremoto di magnitudo 7.7 che ha colpito il Myanmar, sono almeno 1.600 le vittime confermate dal regime militare finora. Una cifra destinata a crescere, mentre i primi e pochi soccorritori che sono potuti intervenire continuano a scavare a mani nude tra le macerie di scuole e case. Secondo le Nazioni Unite, uno degli ostacoli maggiori ai soccorsi è la gravissima carenza di forniture mediche. Gli stessi ospedali, pesantemente danneggiati nel Paese dopo il sisma e le successive scosse di assestamento, rischiano il collasso per carenze croniche di personale e attrezzature.

I bombardamenti dopo il terremoto

Senza dimenticare che la guerra civile tra il regime militare e il Fronte di difesa popolare è andata avanti fino a ieri, 29 marzo. A complicare il lavoro dei soccorritori infatti ci hanno pensato i bombardamenti aerei del regime militare, frenando drasticamente l’ingresso degli aiuti bloccati alla frontiera. A essere colpiti sono stati i villaggi nello Stato di Shan, nella zona centro orientale del Paese. Ma non sarebbero stati esclusi anche i villaggi vicini all’epicentro, nella regione del Sagaing. Le persone coinvolte nel terremoto che hanno urgente bisogno di aiuti potrebbero essere circa 20 milioni, secondo il coordinatore degli aiuti umanitari per l’Onu in Myanmar, Marcoluigi Corsi. Quella colpita «è un’area piuttosto vasta – ha spiegato Corsi all’agenzia Un news – Si stima che in quell’area vivano 20 milioni di persone. Al momento, in termini di vittime, i numeri continuano ad aumentare».

Il Paese isolato chiede aiuto

Dopo decenni di isolamento internazionale, il regime militare guidato da Min Aung Hlaing ha chiesto aiuto alla comunità internazionale e ha dichiarato lo stato di emergenza. Da quando quattro anni fa ha preso il comando del Paese con l’ultimo colpo di Stato, il generale aveva mantenuto aperti i canali diplomatici quasi esclusivamente con Cina, Russia e Bielorussia. L’invito finora inedito «a tutte le organizzazioni e nazioni disposte a venire ad aiutare le persone bisognose nel nostro Paese» è stato letto come la rivelazione che nel Paese la situazione è disperata.

Il generale Min Aung Hlaing, a capo del regime militare del Myanmar dopo l’ultimo colpo di Stato di quattro anni fa EPA/NYEIN CHAN NAING

I primi aiuti e i dubbi

La risposta internazionale non si è fatta attendere. I primi soccorritori, meno di 100, sono arrivati dalla Cina. Altri aiuti sono previsti da India e Thailandia, con 49 militari che dovrebbero usare gli scali ancora agibili. Ma come spiega il Corriere della Sera, ora il regime non sa come muoversi. I mezzi a disposizione del Myanmar sono scarsi e male organizzati. Le strade sono interrotte e anche due aeroporti, Naypyidaw e Mandalay, sono stati chiusi. Perciò i soccorsi rischiano di restare bloccati ai confini. In più c’è la tregua dichiarata dai cosiddetti ribelli. Due settimane di cessate il fuoco, per permettere agli aiuti di raggiungere i luoghi più colpiti dal terremoto. Ma non è ancora chiaro che cosa ha intenzione di fare il regime militare.

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