Ue in pressing sui governi per il riarmo. Anche Dombrovskis abbandona il rigore: «Indebitiamoci oggi per spendere di più domani»


Da Strasburgo – C’era una volta il «falco dei conti» Valdis Dombrovskis. Il veterano della Commissione europea, in cui siede ininterrottamente dal 2014, era considerato dai governi – specie quelli del Sud Europa – come l’alfiere del rigore, l’inflessibile controllore da cui arrivare coi compiti a casa fatti: deficit di bilancio al minimo, debito pubblico sotto controllo, secondo quanto prescritto dai famigerati «parametri di Maastricht». Poi però l’Europa e il mondo sono stati squassati: dalla pandemia e dai lockdown prima, dall’invasione russa all’Ucraina poi, infine dal ritorno al potere di Donald Trump e dai negoziati Usa-Russia che rischiano di lasciare l’Europa indifesa. E così la Commissione, e Dombrovskis, hanno completato l’inversione a U. Indebitarsi non solo è possibile, ma perfino doveroso di fronte ai rischi «eccezionali» del mondo nuovo. Il messaggio, scritto nero su bianco nel piano di riarmo/prontezza Ue, è risuonato stasera, 31 marzo, nelle stanze del Parlamento europeo. «Il nuovo Patto di stabilità prevede la possibilità di deviare dal sentiero del rigore in caso di circostanze eccezionali fuori dal controllo dello Stato purché non sia danneggiata la sostenibilità fiscale di medio termine. La guerra della Russia all’Ucraina e la sua minaccia alla sicurezza dell’Europa rappresentano ovviamente (corsivo nostro, ndr) tale circostanza eccezionale», ha detto il Commissario all’Economia della squadra di Ursula von der Leyen.
Il pressing sui governi per «accendere» i prestiti
La Commissione incoraggia dunque apertamente gli Stati membri a far uso dello spazio fiscale ora concesso con l’attivazione della «clausola di salvaguardia» dal Patto di Stabilità: sino all’1,5% del Pil (calcolato sull’anno-base del 2021) per i prossimi quattro anni, il primo dei quali è quello in corso, per realizzare ulteriori investimenti in difesa. E la sostenibilità del debito pubblico? E il giudizio dei temutissimi mercati sui Paesi già esposti? Sollecitato sul tema da diversi eurodeputati della commissione affari economici, Dombrovskis ha riconosciuto la serietà del tema. Due le garanzie che eviteranno scivoloni finanziari, ha detto essenzialmente il lettone: da un lato i limiti previsti agli sforamenti, nel tempo (4 anni) e nella misura (1,5% di Pil); dall’altro, soprattutto, l’effetto rassicurante che potrà avere un’adesione «ampia e coordinata» degli Stati al piano. Per questo la Commissione continua a sponsorizzare un’«azione collettiva» da parte dei governi nell’aderire al piano, di modo – ha detto Dombrovskis – che nessun singolo Paese possa finire preda della speculazione finanziaria sul debito. Messaggio, evidentemente, anche per l’Italia di Giorgia Meloni. Cui il responsabile lettone ha lisciato il pelo pure con un altro assist: la Commissione auspica sì che le indicazioni dei governi sul possibile sforamento per il 2025 arrivino entro aprile, ma «potranno attivare la clausola anche dopo se decidono così», ha detto Dombrovskis dopo che all’ultimo Consiglio europeo la premier italiana aveva fatto notare come quei tempi fossero «un po’ strettini», considerata la delicatezza delle valutazioni tanto politiche quanto tecniche che stanno dietro alla (eventuale) decisione del governo.
Oggi il debito «d’emergenza», domani la spesa strutturale
D’altra parte Dombrovskis ha pure riconosciuto il merito dell’altra grande critica che viene mossa all’attuale piano di riarmo Ue. Se il mondo è cambiato e l’Europa deve difendersi da sola, come si può pensare che basti fare un po’ più di debito per quattro anni? Non ci vogliono forse investimenti seri, strutturali e comuni di lungo periodo?, ha alzato il pressing più di un eurodeputato. Sì, ha riconosciuto il Commissario all’Economia: il piano attuale è una risposta di breve periodo per affrontare le questioni più urgenti, in primis il rifornimento delle scorte di materiali bellici che molti Paesi hanno visto sguarnirsi negli ultimi anni per via degli invii di aiuti militari all’Ucraina. Ma il vero punto d’arrivo della nuova fase dovrà essere un «livello di spesa in difesa strutturalmente più alto». Dunque, entro la fine della fase «emergenziale» ora aperta dalla Commissione, sarà bene che i governi Ue riflettano e si coordinino per trovare il modo di aumentare strutturalmente quegli investimenti. Tanto a livello nazionale quanto a livello europeo. «Gli Stati membri devono iniziare a pensare come sarà loro bilancio dopo i primi 4 anni: dovranno essere fatti aggiustamenti dal lato delle entrate o delle spese per prepararsi a quello scenario», ha spiegato Dombrovskis. Tradotto: sì, si dovrà pensare se tagliare altre voci del bilancio statale (welfare compreso, eventualmente) e/o trovare modi per aumentare le entrate fiscali. Quanto al livello comunitario, molte opzioni al momento sono in campo: non si può escludere l’utilizzo del Mes, certo, ma soprattutto il ripensamento andrà convogliato nei negoziati ora ai blocchi di partenza sul prossimo Quadro finanziario pluriennale Ue (2027-2034). Senza tabù, neanche quello di prevedere nuove entrate Ue (anche tasse dirette) per finanziare futuri investimenti strutturali e comuni nel campo della difesa. Magari, a quel punto, sotto forma di contributi a fondo perduto e non solo di prestiti da ripagare che tanto preoccupano ora i Paesi già indebitati. A partire dall’Italia.