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Riutilizzabili o usa e getta? Il caos italiano sulle stoviglie di plastica e il «buco nero» delle certificazioni

plastica monouso riutilizzabile
plastica monouso riutilizzabile
La maggior parte dei prodotti presi in esame da un'indagine di Legambiente vengono presentati come «riutilizzabili» ma non contengono alcuna informazione su come si possano davvero riutilizzare

Ci sono centinaia di prodotti di plastica sugli scaffali dei supermercati che vengono presentati come riutilizzabili ma, nei fatti, vengono trattati come prodotti usa e getta. A fare luce sul fenomeno è un’indagine di Legambiente, pubblicata a tre anni dall’entrata in vigore della direttiva europea sulla plastica monouso (Sup), recepita nell’ordinamento italiano nel 2021. L’associazione ambientalista ha preso in esame un campione di 317 prodotti di plastica – 57% piatti, 27% bicchieri, 12% posate, 4% coppette, vaschette e vassoi – appartenenti a settanta marchi diversi. Il risultato dell’analisi certifica una realtà ben conosciuta da molti consumatori: la maggior parte dei prodotti presi in esame viene presentata come «riutilizzabile» ma non contiene alcuna informazione su come si possa davvero riutilizzare.

L’indagine di Legambiente

A mancare spesso sono le informazioni più basilari sul riutilizzo del prodotto, per esempio sul numero massimo di lavaggi, la modalità di lavaggio (a mano o in lavastoviglie), le temperature massime consigliate, l’idoneità per il microonde e quella per il forno. In molti casi, di tutte queste informazioni non c’è alcuna traccia. Sui 317 prodotti analizzati da Legambiente, il 38% non specifica il numero di lavaggi massimi, il 60% non fornisce alcuna indicazione sulle temperature consigliate. Più di nove prodotti su dieci (il 92%) non riportano nemmeno la possibilità di usare il prodotto in microonde o di lavarlo in lavastoviglie.

Il «buco nero» delle certificazioni

Sulle confezioni di piatti, bicchieri e posate in plastica, denuncia Legambiente, spesso mancano anche le certificazioni. Dei 317 prodotti analizzati, soltanto 110 ne presenta almeno una. E di queste, solo il 30% dei bollini riguarda la «resistenza meccanica al lavaggio in lavastoviglie», che pure rappresenta una condizione indispensabile per poter definire un prodotto davvero riutilizzabile. Quasi un quinto dei prodotti analizzati (il 19%) non riporta alcuna indicazione nemmeno su come smaltire il prodotto una volta arrivato a fine vita.

Il paradosso tutto italiano sulla plastica monouso

L’assenza di tutte queste informazioni, spiega Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, è un paradosso tutto italiano. La direttiva europea del 2020 sulla plastica monouso prevede infatti che siano gli Stati membri a individuare parametri tecnici per definire un prodotto riutilizzabile. Il governo italiano ha recepito la direttiva nel proprio ordinamento con un decreto legislativo del 2021, che però non ha mai indicato tali parametri. Il risultato? Molti vecchi prodotti monouso in plastica, banditi dalla direttiva Ue, hanno semplicemente cambiato nome e sono rimasti sul mercato, danneggiando peraltro le altre aziende che hanno investito nella conversione da plastica a bioplastica. «Chiediamo al governo Meloni – si legge in una nota di Legambiente – di colmare il vuoto normativo creato dalla direttiva europea e dal decreto legislativo 196/2021 per evitare che i vecchi prodotti monouso in plastica, messi alla porta dalla normativa comunitaria, rientrino dalla finestra».

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