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L’ Emilia-Romagna punta sulle misure alternative al carcere: «Comunità educanti contro sovraffollamento e recidiva»

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il consiglio regionale ha votato all'unanimità un odg a prima firma Castaldini (Fi) per finanziare le comunità alternative al carcere: «Dobbiamo riconoscere l’importanza di un sistema penitenziario che promuova il reinserimento dei detenuti nella società»

Sovraffollamento, condizioni inadeguate di molte strutture, carenza di personale e suicidi. Sono solo alcuni dei problemi, già noti e ampiamente denunciati, delle carceri italiane, compresi gli IPM. Ma non solo: nell’anno nero degli Istituti di pena, il Dipartimento di amministrazione penitenziaria, e quindi anche la polizia penitenziaria, sono da tre mesi senza guida. Riformare il sistema carcerario è una delle tante sfide che i governi hanno tentato di affrontare negli anni, con risultati diversi. Eppure, la soluzione non può essere trovata – denunciano le organizzazioni – nella moltiplicazione dei penitenziari. È necessario incrementare anche le esperienze che si muovono nella logica di una giustizia rieducativa. «Oggi più che mai dobbiamo riconoscere l’importanza di un sistema penitenziario che promuova il reinserimento dei detenuti nella società, proprio come delinea l’articolo 27 della Costituzione», spiega la consigliera regionale dell’Emilia Romagna Valentina Castaldini (FI), che insieme alle dem Parma e Petitti hanno presentato una proposta votata all’unanimità dal Consiglio regionale per finanziare le comunità educanti carcerarie (Cec). Strutture che offrono una misura alternativa al carcere e percorsi educativi personalizzati da svolgere in un circuito comunitario protetto. «Un sistema – commenta – che pone l’accento sulla dignità e sull’umanità, lavorando sulla reintegrazione dei detenuti nel tessuto sociale emiliano-romagnolo». 

Le comunità educanti carcerarie

In Italia esistono comunità educanti riconosciute ufficialmente come Apac (Associazione di protezione e assistenza ai condannati), ovvero esperienze di carcere aperto, nate nel 1972 in Brasile. In Italia sono una decina, di cui la metà in Emilia-Romagna: si tratta di un’alternativa al tradizionale sistema carcerario. I detenuti, molti dei quali presenti, si chiamano «recuperandi», e i tassi di ricaduta sono molto bassi. «Solo il 15% di chi è stato ospite delle Cec torna a delinquere dopo avere scontato la pena, a fronte di una recidiva del 70% nella popolazione carceraria. È dunque un’esperienza utile per i detenuti, per lo Stato, per la società». Ad oggi queste comunità non ricevono nessun contributo per l’accoglienza dei detenuti. «Il costo per ognuno dei detenuti accolti è di 35 euro al giorno contro i 140 euro dell’amministrazione penitenziaria», si legge nell’ordine del giorno. Le Cec «possono rappresentare una effettiva leva per il contrasto al sovraffollamento penitenziario in Emilia-Romagna tenuto conto del dato del 35% dei reclusi che possono in via ipotetica accedere a benefici alternativi alla detenzione, ma che molto spesso non hanno risorse e proposte idonee. Leva positiva contro il sovraffollamento è anche la riduzione della recidiva, che ne è una delle maggiori cause». 

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