Manfredi Mangione, il 17enne cui hanno sfasciato una mandibola per aver sedato una rissa: «Viti e placche ovunque, non mangio e non dormo più»


La sera dell’8 marzo Manfredi Mangione, 17 anni, si è messo in mezzo per fermare l’aggressione a un suo coetaneo, in piazza Mancini a Roma. Se la sono presa con lui: un solo, potente cazzotto gli ha frantumato la mandibola. È passato quasi un mese, e tuttora non è in grado di masticare, di sentire in bocca il caldo o il freddo. Riesce a stento a dormire. La sua storia la racconta lui stesso a Massimo Gramellini sul Corriere della Sera. Per provare a tratte qualche lezione dalla sua spaventosa disavventura. Quel sabato sera Mangione usciva da un locale con qualche amico. Passando dal piazzale di fronte allo stadio, s’imbatte in una scena raccapricciante: un ragazzo che conosce di vista malmenato da altri coetanei. Forse per uno sguardo di troppo a una ragazza o qualcosa del genere: «cavolate da discoteca». Il ragazzo è schiacciato contro un muro, e giù pugni e calci. Perde sangue. Mangione interviene. Corre verso di loro e prova ad allontanare gli aggressori dal malcapitato. «Ragazzi, calma». Non fa in tempo a terminare quel prudente invito che sente arrivare un fendente da dietro – «un’infamata». Una botta da orbi. Barcolla, perde sangue, sente la bocca scricchiolare. Il ragazzo più piccolo, se non altro, riesce a divincolarsi e scappare. Lui non perde neppure i sensi, ma il mattino dopo capisce che quella che ha preso non è una botta come un’altra.
Gli esami, l’operazione, la mandibola che non c’è più
Al risveglio il cuscino è sporco di sangue, si sente la bocca scomposta. Capisce di dover andare in ospedale, e lo dice ai genitori. Gli esami al pronto soccorso palesano la dura realtà: quel cazzotto da dietro gli ha frantumato la mascella, e spappolato così pure il nervo che comanda la sensibilità del labbro inferiore fino al mento. «Non sento più né il caldo né il freddo. Pensa che ho provato a mangiare un gelato e mi sono sbrodolato come un bambino», racconta con cupa ironia il ragazzo ora. Tre giorni dopo viene operato al Gemelli. «Viti e placche dappertutto. E lì ho smesso definitivamente di dormire». Non riesce più a mangiare nulla se non vellutate e purè – «mi sogno un piatto di pasta anche da sveglio». E non è chiaro se e quando potrà tornare a farlo. «Potrò recuperare la sensibilità al 70 per cento, se va bene», dice il 17enne sulla base del responso ricevuto dai medici. Destino incredibile, per un ragazzo che ha solo provato a salvarne un altro da un pestaggio assurdo.
Gioventù bruciata
Non gli interessa la vendetta, le scuse forse. Ma quello che fa più male è sapere che l’accaduto è il sintomo di una deriva della sua generazione. «Quella è gente balorda, chissà quanti cazzotti del genere ha tirato in vita sua. In certi ambienti c’è ancora una cultura maschilista, l’idea che il vero uomo sia quello che mena più degli altri per farsi rispettare», riflette Manfredi. E ancora: «C’è troppa voglia di bruciare le tappe. E poi il telefono: ti sembra uno scudo, dietro cui puoi fare il fenomeno. Invece ogni cosa che pubblichi ti si può rivoltare contro da un momento all’altro». L’unica, minima gratificazione – se possibile – l’ha avuta venendo poi in contatto col ragazzo che grazie al suo intervento si è salvato. «Sono riuscito ad avere il suo numero e gli ho scritto per sapere come stava. Mi ha risposto con un bel messaggio: “Grazie. Per salvare la mia vita, ti sei rovinato la tua. Quel che è successo a te stava per succedere a me…”». Ma non per questo si sente un eroe. Niente del genere. «Me lo hanno detto tutti che ho avuto coraggio e che mi sono fatto male con onore. Ma non scherziamo, gli eroi sono altri… Io di eroi non ne ho. Ho un mito: papà. Però mi sa che gli devo dare più retta perché alla fine, scoccia dirlo, ha sempre ragione lui».