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Il ceo di Jp Morgan contro i dazi di Trump: «Fanno salire i prezzi e scendere il Pil»

07 Aprile 2025 - 14:33 Bruno Gaetani
Jamie_Dimon dazi usa trump
Jamie_Dimon dazi usa trump
La lettera di Jamie Dimon agli azionisti: «Resta da vedere se la guerra commerciale porterà alla recessione, ma di certo rallenterà la crescita»

La guerra commerciale scatenata da Donald Trump rischia di aumentare i prezzi, trascinare l’economia globale verso una recessione e indebolire la posizione degli Stati Uniti sullo scacchiere globale. A lanciare l’allarme – dopo l’ennesimo giorno da incubo per le Borse di tutto il mondo – è Jamie Dimon, amministratore delegato di Jp Morgan, che in una lettera agli azionisti della banca chiede di risolvere la questione dei dazi «il prima possibile». Secondo Dimon, la politica commerciale della Casa Bianca genera molte «incertezza» e rischia di portare a una frammentazione definita «disastrosa» delle alleanze tra Washington e i governi europei.

Trump insiste: «Non c’è inflazione»

Nonostante i mercati in caduta libera e i timori degli economisti, Trump sembra intenzionato a tirare dritto sui dazi annunciati la scorsa settimana. «I prezzi del petrolio sono in calo, i tassi di interesse sono in calo, i prezzi dei prodotti alimentari sono in calo, non c’è inflazione e gli Usa, sfruttati da tempo, stanno portando miliardi di dollari a settimana con le tariffe già in vigore», scrive il tycoon sui social. Insomma, secondo Trump la guerra commerciale non pone alcun rischio per l’economia americana. Anzi, è la Federal Reserve, perlomeno dal suo punto di vista, a non fare abbastanza per sostenere la crescita economica degli Stati Uniti: «La lenta Fed dovrebbe tagliare i tassi!», attacca ancora Trump sui social.

I timori per i dazi e per le alleanze spezzate

Non la vede allo stesso modo Jamie Dimon, che in una lettera agli azionisti di Jp Morgan scrive: «Quanto prima si risolve questo problema, tanto meglio è perché alcuni degli effetti negativi aumentano cumulativamente nel tempo e sarebbero difficili da invertire». Mantenere le nostre alleanze unite, sia militarmente che economicamente, è essenziale». Per l’amministratore delegato di Jp Morgan, con l’annuncio del 2 aprile sui dazi universali «è probabile che si verifichino effetti inflazionistici, non solo sui beni importati, ma anche sui prezzi interni, poiché aumentano i costi dei fattori produttivi e la domanda di prodotti nazionali». E per quanto riguarda l’andamento dell’economia, precisa Dimon, «resta da vedere se l’insieme dei dazi porterà a una recessione, ma di certo rallenterà la crescita». I mercati, si legge ancora nella lettera, «sembrano prezzare gli asset presumendo che l’economia continuerà ad avere un “atterraggio morbido”, ma non ne sono così sicuro».

I rapporti tra Dimon e Donald Trump

Newyorchese, classe 1956, Jamie Dimon è considerato una delle persone più influenti del mondo imprenditoriale americano. Nel 2006 ha assunto la guida di Jp Morgan, la più grande banca degli Stati Uniti, e da allora non l’ha mai lasciata. Per buona parte della sua vita, Dimon non ha guardato con favore ai Repubblicani. Anzi, dal 1989 al 2009 ha donato regolarmente al Partito Democratico americano, al punto che dopo la vittoria di Barack Obama nel 2008 si ipotizzò che Dimon potesse diventare segretario al Tesoro. Durante la prima presidenza Trump, il ceo di Jp Morgan sostenne la riforma fiscale e quella sul mercato del lavoro, ma criticò le politiche della Casa Bianca in tema di immigrazione e commercio con l’estero. In occasione delle presidenziali del 2020, Dimon tornò a guardare con favore verso i democratici, ma durante le primarie di partito criticò l’assenza di un candidato «fortemente centrista e pro-business». L’atteggiamento piuttosto tiepido nei confronti dei Repubblicani, e in particolari dell’amministrazione uscente, mandò su tutte le furie Trump, che accusò Dimon di non essere «un patriota» a causa degli affari di Jp Morgan in Cina. Durante la campagna elettorale delle ultime presidenziali, il miliardario Bill Ackman ha invitato pubblicamente Dimon a candidarsi da indipendente e sfidare sia Trump che Biden nella corsa per la Casa Bianca. Il ceo di Jp Morgan ha gentilmente rifiutato l’offerta ma ha colto la palla al balzo per indispettire nuovamente Trump. Come? Appoggiando la sua rivale Nikki Haley alle primarie del Partito Repubblicano.

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