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La prima rettrice araba in un’università israeliana: «Sono cristiana, maronita e donna. Mai fatto parte di una maggioranza» 

09 Aprile 2025 - 21:13 Sofia Spagnoli
Ricercatrice e neurobiologa di fama internazionale. Si chiama Maouna Maroun, ha 56 anni ed è stata ospite oggi all'ambasciata di Israele in Italia

Si chiama Maouna Maroun, ricercatrice, neurobiologa di fama internazionale, la donna che da aprile dello scorso anno ha scritto una nuova pagina nella storia: il Senato accademico dell’Università di Haifa – città portuale del nord di Israele – l’ha eletta rettrice, rendendola così la prima donna araba a guidare un’università israeliana. La rivista Forbes l’ha inserita tra le 50 donne più influenti in Israele. Una nomina che va ben oltre il prestigio accademico: rappresenta un segnale forte di inclusione e dialogo tra arabi e israeliani, in un paese che è Terra santa per tutte le religioni monoteiste. E ora a distanza di un anno, è qui in Italia per raccontare la sua esperienza. «Quando mi hanno eletta, non riuscivo a crederci. Tutti mi avevano detto che sarebbe stato impossibile: insieme a me c’erano tre candidati uomini. Eppure è successo. In quel momento, il mio pensiero è andato subito ai miei genitori – a mio padre, che oggi ha 101 anni, e a mia madre, che ne ha 91 – immaginando la gioia che avrebbero provato nell’ascoltare la notizia. Vengo da una famiglia di bassa estrazione», ha detto oggi, ospite d’onore all’ambasciata d’Israele in Italia, presente anche l’ambasciatore Jonathan Peled.

Una minoranza della minoranza

Nata nel 1969 a Isfiya, un villaggio a maggioranza drusa sul Monte Carmelo nel nord di Israele, Maroun appartiene a una “minoranza della minoranza” in quanto cristiana e maronita in un paese a maggioranza ebraica. «Sono araba, cristiana, maronita e donna. Non so come ci si sente a far parte di una maggioranza. Ma sono sempre stata determinata a fare la differenza, così come hanno fatto altri della mia famiglia» racconta.

La sua ricerca sul disturbo post-traumatico

Maroun è nota a livello internazionale per i suoi studi pionieristici nel campo della neurobiologia delle emozioni, con un focus specifico sulle risposte allo stress e alla paura. Il suo lavoro ha contribuito in modo significativo alla comprensione dei meccanismi alla base del disturbo post-traumatico da stress (Ptsd). Una condizione patologica che, tra l’altro, affligge molti ragazzi e vittime dell’attacco del 7 ottobre, avvenuto per mano dei miliziani di Hamas. Ne avevano parlato lo scorso marzo, sempre a Roma, anche Yuval Tapuchi e Hadar Sharvit, due giovani israeliane che hanno raccontato l’orrore vissuto in quella giornata.

Il 7 ottobre 2023

«Il sette ottobre è stato un trauma collettivo, come è stato per l’Occidente la caduta delle Torri gemelle – aggiunge – Ed è un trauma collettivo sia per gli ebrei, che hanno rivissuto mentalmente gli orrori della Seconda guerra mondiale, sia per gli arabi, alcuni dei quali sono stati uccisi durante l’assalto di Hamas nel sud di Israele o portati in ostaggio a Gaza». Proprio per questo, dopo il tragico evento, Maroun ha promosso una serie di progetti nell’ateneo volti a favorire il dialogo e la collaborazione tra le comunità. In un campus dove il 45% degli studenti è arabo e il 55% ebreo, la rettrice ha aperto le porte al confronto interreligioso, invitando imam, preti e rabbini.

Boicottaggio accademico

Maroun è in prima linea nella lotta contro il boicottaggio accademico di Israele. «Dobbiamo costruire ponti, non muri», afferma, sottolineando come il mondo accademico non incida sulle decisioni che vengono prese a livello governativo. «Possiamo manifestare, ma le università non possono cambiare la politica e non fanno parte del mondo politico» aggiunge.

L’intervento dell’ambasciatore

Sul tema del boicottaggio si è espresso anche l’ambasciatore, di ritorno da un viaggio a Bologna durante il quale ha incontrato il rettore dell’Università della città per fare il punto sulla collaborazione tra atenei. Per Paled «la cooperazione accademica e scientifica tra Italia e Israele detiene il primo posto in Europa, prima di Francia e Gran Bretagna. Dobbiamo continuare su questa via e rafforzarla». Secondo il delegato «la maggior parte delle università capisce sia necessario lavorare per mantenere questo livello di cooperazione».

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