Il ritorno a sorpresa de I Cani con «Post mortem». Dopo 9 anni di silenzio, una tac all’umanità firmata Niccolò Contessa


«Non se lo aspettava nessuno. Lo aspettavamo tutti», l’etichetta 42records non avrebbe potuto riassumere in maniera più semplice, diretta ed efficace la comune reazione di tutti gli appassionati di musica in Italia a quello che si piò descrivere come un evento musicale. Parliamo del ritorno de I Cani con un intero disco dopo nove anni di silenzio assoluto, rotto a singhiozzo da una collaborazione con i Baustelle, un brano per una colonna sonora e diverse produzioni. Niente di più, piccole pillole per lenire il dolore per l’assenza, mai spiegata, di una narrativa più ampia, articolata, complessa, insomma: un intero disco. Ma oggi, di prima mattina, senza pomposi proclami o campagne Instagram, senza prendere la rincorsa con singoli ad annunciare il lieto accadimento, l’annuncio: è uscito Post mortem. «Zero chiacchiere, zero immagine. Tutto quello che c’è da scoprire è nel disco», recita il comunicato stampa recapitato alla stampa, in puro stile Niccolò Contessa. Perfino la scelta dei caratteri ci restituisce l’intento artistico del progetto I Cani: tutto è minuscolo, dal nome del progetto, che muta la sua grafia, ad ogni singolo pezzo del disco. Tutto è ridotto all’osso affinché la musica emerga e tutto il resto si taccia.
Il nuovo disco de I Cani
Tredici tracce in cui ritroviamo la poetica di Niccolò Contessa, 39 anni. Quella cura nel suono, complesso e accessibile, con poche e chirurgiche esplosioni, artigianale e distintivo, perfetto per far brillare le parole. E poi le parole, appunto, che si stiracchiano con una poetica distaccata, asettica, esistenzialista, che si manifesta con immagini semplici e dirette, essenziali, quasi elementari, come un flusso di pensieri minimalista e potente. I Cani in purezza dunque, una purezza che Contessa ha sempre protetto, non solo con il suo silenzio, la sua allergia alla presenza, al proscenio, al primo piano, alla visibilità, ma soprattutto occupandosi della sua musica in prima persona. Anche Post mortem infatti è scritto, registrato, suonato e cantato da lui, solo una mano da Andrea Suriani per ciò che concerne la produzione, il mix e il master. La soluzione al dilemma I Cani, che attanaglia i nostalgici della stagione indie, forse sta nella traccia che apre il disco, io, che altro non è che una serie di domande («Chi mi aveva convinto di essere quello che non sono? Chi mi ha dato una spinta? Chi mi ha fatto cadere? Chi mi ha prostituito? Chi mi ha prima esaltato e poi mi ha tradito?»). Ma poi in realtà già in buco nero, colpo di tosse e davos ritroviamo quell’attenzione per le storie, di vita vera, specie di chi guarda al futuro con inevitabile terrore. Con colpevole e f.c.f.t. si dà parecchio addosso con un approccio assai cinico, spietato, con questo rondò asfissiante che si scioglie in un mantra: «per accontentare tutti». La morte per uno come Contessa, che infatti a seguire ci mette proprio la title track, brano strumentale, una marcia solenne che ha effettivamente qualcosa di macabro e pacifico. Una pace che lo rende irrequieto si, ma felice, come intitola il brano successivo. Il disco procede con nella parte del mondo in cui sono nato: se Post mortem avesse una vita discografica convenzionale, questo sarebbe sicuramente il singolo di riferimento, non solo perché quello che più e meglio di tutti ci riporta al Contessa che conosciamo, ma perché fa un passo indietro e ci guarda tutti da lontano, forse proprio dall’aldilà, con straordinaria generalizzazione, post mortem appunto. Una tac all’umanità che passa anche da madre e che si fa decisamente più intima in carbone e più amara in buio. Per poi sterzare improvvisamente all’ultimo, con la traccia che chiude il disco, un’altra onda, in cui Contessa si lascia andare a una pace, forse finalmente trovata, che si apre in un sorriso di speranza, come alla fine di un ciclo doloroso, una giostra impazzita che ti ha dato la nausea e che comunque, appena sei sano e salvo a terra, tutto sommato, un altro giretto te lo rifaresti.
Cosa rappresenta I Cani
L’uscita del disco di Contessa ha naturalmente risvegliato un’intera generazione, specie in rete, laddove il fenomeno I Cani, così come il genere indie, si è creato, materializzato e cresciuto oltre i limiti percepiti da un’industria pop immortalata nel suo peggior periodo di sempre. Nell’immaginario comune Contessa è colui che ha guidato una rivoluzione culturale in piena regola, la prima del periodo della musica digitale, quando i giovani italiani, esasperati da un mainstream soggiogato dall’egemonia dei talent televisivi, hanno deciso di lanciare un guanto di sfida all’intero sistema. Si spengono le radio, si spengono le tv, la musica si cerca e si trova in rete. Nel weekend poi si va a sentire dal vivo, nei club della provincia, o a Roma, la capitale delle province italiane, lontano dalla Milano glitterata delle major. Sono ragazzi e ragazze che rivendicano a gran voce la propria stagione musicale, come quella dei genitori che avevano Dalla e De André.
Il ruolo di Contessa nella musica italiana
Attenzione, alla fine anche le major e le radio e le tv (e Sanremo) alla fine sono arrivate, anche se con notevole e colpevole ritardo, sui cantautori indipendenti: alcuni si lasciati divorare dal sistema, qualcuno riesce a nuotare, qualcuno molto meno, altri riescono a mantenere una certa integrità, altri ancora si ubriacano di loro stessi. L’approccio di Contessa, da Il sorprendente album d’esordio de I Cani in poi, prontuario musicale di un desiderio essenziale, ha condizionato tutto un intero ambiente. Se lui non avesse azzeccato le sonorità e la scrittura, se non fosse riuscito a tradurre in musica il bisogno di un’intera generazione di riconoscersi in una certa vulnerabilità, “sfigataggine” azzarderemmo a dire, la musica italiana di oggi non sarebbe quella che è. E, chissà, forse non è un caso che proprio oggi, che un nuovo bisogno bussa forte alle porte dell’industria, Contessa abbia deciso di tornare. Citando quel capolavoro de Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan: «Non l’eroe che meritavamo ma quello di cui avevamo bisogno». Bentornato.