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Lo psicologo Lancini: «La madre che copre il figlio dopo il femminicidio non lo protegge, pensa a sé stessa»

10 Aprile 2025 - 06:52 Alba Romano
mark samson ilaria sula nosr manlapaz
mark samson ilaria sula nosr manlapaz
Il professore spiega: la funzione genitoriale sana impone di accettare la giustizia e la condanna di un figlio

Lo psicologo Matteo Lancini dice che Nosr Manlapaz non è una mamma iperprotettiva. La donna che ha aiutato il figlio Mark Samson a lavare la stanza e a occultare il cadavere di Ilaria Sula è «una persona che pensa a sé stessa». Anche se, concede, «all’inizio una madre può avere l’istinto di proteggere». Nell’intervista che rilascia oggi a Filippo Femia per la Stampa Lancini spiega che «quando si commette un femminicidio o un omicidio, l’unica speranza per avere ancora un barlume di futuro è subire una condanna legislativa rigorosa. Quella che forse, dico forse, può consentirti ancora di vivere e non suicidarti. Il caso di Erika Di Nardo ne è una testimonianza. La funzione genitoriale sana impone di accettare la giustizia e la condanna di un figlio, provando comunque a stargli accanto negli anni successivi».

Gli adulti e i ragazzi

Oggi, aggiunge, «gli adulti hanno una carenza nel riconoscere i bisogni dei ragazzi. Li ascoltano di più rispetto a un tempo, gli uomini assistono le donne in sala parto e i padri portano i neonati nel marsupio. Ma appena i figli esprimono paura, tristezza e rabbia, i genitori negano quelle emozioni e si infastidiscono. Non se ne vogliono fare carico. Quei sentimenti non vengono legittimati e poi esplodono. E abbiamo anche il coraggio di dire che dobbiamo alfabetizzare emotivamente i ragazzi. Non è così». E questo scenario si affronta «evitando di delegittimare le emozioni che ci disturbano. Quando un ragazzo ha male al piede, prima di mettergli l’arnica bisogna verificare che non abbia una micro-frattura».

I social media

Sulle possibili colpe dei social media, Lancini dice che sono accuse che lo fanno sorridere: «Siamo di fronte a una società che tutti i giorni non dà valore alla vita dell’altro. Abbiamo 56 guerre in tutto il mondo, con immagini di morti tra i civili, di cui molti bambini, che rimbalzano sui media. Davvero pensiamo che la colpa possa essere dei trapper, che di solito hanno come idoli la mamma? Oppure i videogiochi? Lì non c’è nessuna morte reale». I social sono l’altro soggetto sul banco degli imputati. «Invece di continuare a sostenere che fanno male, bisognerebbe ragionare su cosa vuol dire costruire un mondo dove tu comunichi tutte le tue azioni potenzialmente a milioni di persone e ciascuno può liberamente commentare, dando sfogo a gogne».

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