Makka Sulaev, che ha ucciso il padre per difendere la madre: ««Era la sua cultura. È cresciuto in un posto dove le donne non valgono niente»


Makka Sulaev, 19 anni, studentessa di Nizza Monferrato, origini cecene, è imputata di omicidio premeditato. Ha ucciso suo padre con due coltellate. Difesa dall’avvocato Massimiliano Sfolcini, durante il processo ha raccontato come si sono svolti i fatti. Partendo dall’acquisto del coltello e dai fogli riempiti prima di colpire Akhyad: «Lo ucciderò». Poi: «Non volevo ucciderlo. Volevo che si fermasse». La Corte d’Assise deciderà sulla sua sorte. Lei intanto oggi parla con La Stampa: «Da piccola amavo mio padre. Anche se allora non capivo certe cose. Poi quell’amore è diminuito. Verso i 16, 17 anni. Quando sono diventata maggiorenne ho capito che non potevo più accettare come lui faceva vivere mia madre».
Makka
Makka racconta che era «raro che mio padre non ci pressasse o non ci insultasse. Dovevamo sempre avere paura. Se la prendeva per ogni cosa: per una serranda chiusa, per un piatto non lavato, per un filo di polvere. Così insultava mia madre. Diceva: “Vedi come educhi i tuoi figli?”. Dovevamo sempre temerlo». Poi l’acquisto del coltello: «Non so spiegare. In quel momento non c’erano altre opzioni ma non avevo intenzione di fare quello che ho fatto dopo. Volevo difendere mia madre e me stessa, volevo allontanare quell’uomo grande, più forte di me. In casa c’erano solo piccoli coltelli. Pensavo che non bastassero a fargli paura. Fisicamente gli bastava un pugno per farci male. Quando picchiava mia madre non usava tutta la forza. Da giovane praticava karate e box».
Trascinate per i capelli
Nel suo diario Makka ha scritto che il padre trascinava te e tua madre per i capelli di fronte ai tuoi fratelli maschi, per mostrare loro come educare le donne: «Era la sua cultura. Lui è cresciuto in un posto dove le donne non valgono niente. Così lo insegnava ai mie fratelli dicendo: “Dovete essere uomini e per esserlo dovete picchiare la donna se non ti ascolta”. La sua era una questione di cultura, non di religione. La religione è un velo per nascondere la disumanità». Lei, dice, è credente e musulmana: «Ma la religione viene manipolata dagli uomini per fare quello che vogliono».
L’amore
E conclude: «Quando il giudice mi ha detto che come imputata avrei potuto mentire, mi è sembrato strano. Ho detto la verità: sono stata onesta. In ogni caso sono pronta ad accettare quello che sarà, sono consapevole che devo rispondere delle mie azioni». Ti sei mai innamorata? «La mia situazione sentimentale è inesistente. Un po’ per rispetto della mia fede, e se anche avessi voluto sgarrare non avrei mai potuto: mio padre controllava tutto. Me l’avrebbe impedito».