Cervelli in fuga dagli Usa, l’Europa li corteggia e l’Italia lancia un piano per il rientro. La ministra Bernini a Open: «Fuori si taglia, noi investiamo»


È iniziata la competizione tra i Paesi europei per attrarre i ricercatori in fuga dagli Stati Uniti dopo i tagli imposti dall’amministrazione Trump. Germania, Francia, Olanda sono solo alcune delle nazioni che hanno avviato iniziative per offrire nuove opportunità agli scienziati negli Usa. E l’Italia, non è da meno. Il nostro Paese ha lanciato un nuovo piano per trasformarsi in una “terra di ritorno” per i ricercatori italiani all’estero, ma anche in una nuova casa per gli scienziati internazionali pronti a lasciare altri Paesi. «Non mi piace parlare di rientro dei cervelli perché non penso che i cervelli fuggano: credo, piuttosto, che seguano i progetti in cui credono, ovunque si trovino. Ma proprio per questo non possiamo restare immobili di fronte alle grandi opportunità che gli scenari globali ci offrono», dichiara a Open la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini.
Gli Usa: da terra attrattiva a meta di fuga
Negli Stati Uniti, la crisi della ricerca scientifica non è più un’ipotesi, bensì una realtà, come denunciato dagli stessi ricercatori. Esperimenti interrotti, laboratori svuotati, scienziati licenziati. Fin dai primi mesi del suo mandato, l’amministrazione Trump ha adottato una serie di misure che stanno minando il normale sviluppo della ricerca scientifica. In particolare, ha ridotto i finanziamenti federali a diverse università: dai 400 milioni di dollari ritirati alla Columbia agli 800 milioni alla Johns Hopkins che si è trovata costretta a licenziare 2mila persone.
In alcuni casi, i timori hanno avuto già i primi effetti. I tagli imposti dall’amministrazione Trump ai National Institutes of Health (Nih), l’agenzia governativa più importante per la ricerca biomedica americana, hanno bloccato progetti e terapie innovative – come quella contro i tumori del tratto gastrointestinale – che rischiano ora di essere lasciati a metà strada. Nei giorni scorsi, inoltre, 1.900 scienziati americani – membri delle Accademie Nazionali di scienze, ingegneria e medicina – hanno firmato una lettera aperta in cui avvertono che «si sta decimando l’impresa scientifica della nazione riducendo i finanziamenti e licenziando migliaia di scienziati». Questi tagli, combinati con altre misure che rendono l’America meno accogliente per gli stranieri, potrebbero avere un impatto particolarmente negativo sui ricercatori non americani, innescando quella che alcuni definiscono un’inversione di tendenza: da nazione attrattiva per i talenti a meta di fuga per i cervelli. E l’Italia, che per anni ha sofferto la fuga dei propri ricercatori, ora tenta il colpo grosso: trasformare la potenziale emorragia di talenti in un’occasione storica per rafforzare il sistema scientifico del nostro Paese. Secondo i dati dell’ambasciata italiana a Washington, sono oltre 15mila i ricercatori italiani negli Stati Uniti.
Il piano dell’Italia
Il programma lanciato dal ministero dell’Università e della Ricerca si articola in più fasi e prevede un finanziamento continuo, con un primo stanziamento di 50 milioni di euro già in partenza. Il primo passo è un Avviso pubblico in uscita nei prossimi giorni giorni, rivolto a giovani ricercatori vincitori dei bandi ERC Starting Grants o ERC Consolidator Grants, attualmente all’estero. Questi finanziamenti europei destinati a progetti di ricerca di frontiera rappresentano un’eccellenza della scienza internazionale. Ma, spesso, i vincitori italiani di questi grant decidono di portare i loro progetti all’estero. Il piano italiano punta a invertire la rotta: fare dell’Italia non solo una destinazione possibile, ma una scelta desiderabile.
Chi può partecipare ai bandi del piano Bernini
I finanziamenti Erc – ovvero European Starting Grants e Consolidator Grants – sono tra i bandi europei destinati a sostenere la ricerca di frontiera. Gli Starting Grants si rivolgono a giovani ricercatori promettenti, di qualsiasi nazionalità, che abbiano completato il dottorato da 2 a 7 anni, mentre i Consolidator Grants sono pensati per scienziati più affermati, con 7-12 anni di esperienza post-PhD. Sebbene siano promossi dall’Unione europea, non è necessario essere cittadini europei per partecipare: ciò che conta è che l’attività di ricerca si svolga in uno degli Stati membri dell’Ue o nei Paesi associati. Questo significa che anche ricercatori attualmente residenti o attivi negli Stati Uniti possono presentare progetti, purché accettino di trasferire il loro lavoro in Europa. È qui che si inserisce l’opportunità per l’Italia: attrarre questi talenti offrendo loro infrastrutture, incentivi e un ambiente di ricerca competitivo dove poter realizzare i loro progetti.
Bernini: «11 miliardi di euro alla ricerca»
«Il nostro sistema della ricerca è forte, qualificato, competitivo. E lo abbiamo reso ancora più solido grazie a 11 miliardi di euro che stanno dando vita a nuovi centri su temi cruciali: dal quantum computing alla mobilità sostenibile, dalle cure innovative alla tutela della biodiversità, fino all’agritech», riferisce la ministra Bernini. «Vogliamo offrire a giovani ricercatori – italiani e non – una nuova opportunità: la possibilità di portare qui, in Italia, il loro entusiasmo, le loro idee, la loro visione. Vogliamo dare loro una casa per fare ricerca. E costruire insieme il futuro. Mentre altrove, come negli Stati Uniti, si parla di tagli alla ricerca, l’Italia sceglie di investire. E lo fa con convinzione»», aggiunge.
Così l’Europa corteggia i ricercatori americani
La Germania si mobilita
La sfida ora è farlo in fretta. Perché mentre negli Stati Uniti i laboratori rischiano di svuotarsi, anche altri Paesi stanno studiando strategie simili per accogliere i possibili talenti in fuga. La Max Planck Society, principale ente di ricerca tedesco, ad esempio, ha già fatto capire che potrebbe trarre vantaggio dalle politiche restrittive sulla ricerca introdotte da Trump per attrarre scienziati statunitensi di alto profilo. Il presidente Patrick Cramer ha definito gli Stati Uniti un «nuovo bacino di talenti» e ha riferito che c’è stato un aumento delle candidature statunitensi nelle posizioni ricerca. La Max Society sta quindi investendo in nuove posizioni e Cramer ha in programma missioni negli Usa per incontrare ricercatori e istituzioni. Parallelamente, il Daad (Servizio tedesco per lo scambio accademico) ha lanciato un appello al governo tedesco per ampliare l’internazionalizzazione dell’istruzione superiore e a mantenere stretti rapporti con le università degli Stati Uniti.
Il nuovo programma triennale della Francia
L’Università Aix-Marseille in Francia ha lanciato un programma triennale con un budget di 15 milioni di euro per ospitare nel suo campus circa 15 scienziati americani nei campi del clima, della salute e delle scienze sociali. In sole due settimane, l’università ha ricevuto oltre 100 candidature, inclusi ricercatori da istituzioni come Nasa, Yale e Stanford. E l’ateneo ha fatto sapere di essere in contatto con il governo per ampliare «l’asilo scientifico» ai ricercatori. Anche la direttrice dell’Istituto Pasteur di Parigi, Yasmine Belkaid, ha annunciato di essere al lavoro per reclutare esperti americani in malattie infettive. «Si potrebbe definire una triste opportunità, ma è pur sempre un’opportunità», ha detto.
L’Olanda e Belgio
Il ministro dell’Istruzione dell’Olanda, Eppo Bruins, ha annunciato l’istituzione di un fondo per reclutare scienziati di alto livello: «Il clima geopolitico sta cambiando. Questo sta aumentando la mobilità internazionale degli scienziati. I Paesi Bassi devono essere in prima linea in questi sforzi». Anche l’università belga Vrije Universiteit Brussel si è mobilitata aprendo 12 posizioni post-dottorato per studiosi internazionali, con particolare attenzione a quelli provenienti dagli Stati Uniti. «Consideriamo nostro compito venire in aiuto dei nostri colleghi americani. Le università americane e i loro ricercatori sono le principali vittime di questa interferenza politica», ha affermato il rettore Jan Danckaert.
La lettera di 13 Paesi all’Ue
Nel frattempo alcuni Paesi cercano di affrontare la questione in chiave europea. 13 ministri provenienti da diversi Paesi dell’Unione hanno sottoscritto una lettera indirizzata alla Commissaria europea per la ricerca e l’innovazione, Ekaterina Zaharieva, chiedendo piano comune per offrire rifugio accademico a ricercatori che potrebbero trovarsi sotto pressione nei propri Paesi d’origine. «L’Ue dispone di numerose risorse per attrarre talenti internazionali. Chiediamo un’azione immediata e un dialogo politico concreto per coordinare i nostri sforzi su questo tema a livello europeo e nazionale, sia nel settore pubblico che in quello privato», si legge nella lettera. A firmare l’iniziativa sono stati, tra gli altri, Romania, Francia, Bulgaria, Austria, Grecia, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Slovacchia e Slovenia. Al momento, però, dalla Commissione europea non è ancora arrivato un piano d’azione ufficiale comune.