Alberto Angela, il fuori programma con re Carlo: «La regina Camilla mi conosceva già. Cosa rispondo a chi dice che sono meglio di mio padre»


La visita con ospiti d’eccezione del calibro dei sovrani britannici Carlo III e Camilla a raccontare ed emozionare come al solito sull’Antica Roma, insolitamente in giacca e cravatta: per Alberto Angela è stata sicuramente una settimana da ricordare. Non fosse altro perché, come ha raccontato a Francesca D’Angelo sulla Stampa, gli è «parso di capire che la regina sia una mia fan». Come? «Non lo so, immagino abbia visto il mio programma in viaggio». E così una visita di Stato si è trasformata in una «visita tutto fuorché formale». Con anche un fuori protocollo: «Hanno voluto proseguire, è diventato un viaggio nel cuore». Intanto, pur amando guardare e raccontare il passato, anche Alberto Angela deve fare i conti con il futuro. I nuovi programmi, le puntate di Ulisse e quel contratto con la Rai che, come confessa, «non è ancora stato rinnovato». Alla finestra ci sono nuovi corteggiatori?
I sovrani britannici e il nonno che salvò gli ebrei dalla Shoah
Parlando con La Stampa, il noto divulgatore si tuffa a piene mani nel passato. Dalla monarchia inglese, che ha motivo di esistere perché «ha una storia talmente lunga che non si può cancellare con un clic. Per alcuni inglesi sono ancora il modello». Fino alla sua storia personale: «All’inizio non pensavo alla tv, così come mio padre. Chi ha iniziato tutto è stato nonno, che aveva una rubrica medica alla radio nel Dopoguerra». Proprio quel nonno che, per l’impegno nell’aiutare alcuni ebrei dalla Shoah, è stato nominato Giusto: «È una questione di etica, lo ha fatto non per ideologia ma perché era giusto farlo. Anni fa chiesi a un sopravvissuto di Hiroshima cosa fosse la pace, lui mi rispose: “Farsi carico delle sofferenze di chi hai davanti”».
Il confronto impossibile con il padre Piero Angela
Bisogna però fare i contri con il presente. «Io come mio padre? Lui è inarrivabile, lo dico da figlio e da collega». Poi c’è il lavoro, in cui si sente in qualche modo responsabile di «risvegliare una sensibilità innata negli italiani», cioè quella di un «popolo cresciuto immerso nella bellezza». Per questo la puntata su Pompei, con un unico piano sequenza da oltre due ore. Per questo anche gli episodi del programma Ulisse un po’ più fuori dalle righe, come quello che lunedì prossimo passerà in rassegna Londra attraverso la sua musica: «La cultura in prima serata è un azzardo. Io ogni volta cambio formula, mi assumo dei rischi, testo nuove soluzioni: mi piace stimolare la curiosità del pubblico».
I figli, la salute mentale e il ruolo dei social: «Ti isolano, ma basta un abbraccio»
Infine ci sono i tre figli, tutti attivi nel campo della ricerca e della scienza: «A loro non dico mai cosa fare, ma cosa sarebbe stato meglio fare. Ai ragazzi non servono ordini ma consigli. Quello che conta è esserci, anche quando sono lontani». Un tema che fa il paio con quello della salute mentale e del ruolo che i genitori coprono nei confronti dei figli: «Prima era un tabù, ma bisogna romperlo e mostrare i danni che si causano nel momento in cui le persone non si sentono accolte e comprese». Responsabili di questo sono anche i social media: «L’uomo è un animale estremamente sociale, mentre il problema dei social è che ti isolano, ti privano del contatto umano che invece è fondamentale. Un abbraccio secerne ossitocina».