La soddisfazione di Trump: Mahmoud Khalil, lo studente che protestò per Gaza alla Columbia University, «può esser deportato»


L’amministrazione Trump ha ottenuto il via libera alla deportazione di Mahmoud Khalil, lo studente di origini palestinesi che l’anno scorso aveva contribuito a organizzare proteste pro-Gaza alla Columbia University. Durante un’udienza a Jena, in un remoto centro di detenzione per clandestini, la giudice Jamee Comans ha preferito non intromettersi sul giovane, che ha la carta verde grazie al matrimonio con una cittadina americana. Comans ha detto di non avere il potere di contestare la valutazione del segretario di Stato Marco Rubio, secondo cui la presenza di Khalil negli Usa rappresenta «una minaccia per la politica estera degli Usa contro l’antisemitismo». Khalil ha replicato ricordando le parole della giudice, in un’altra udienza, su quanto sia importante un giusto processo e l’equità. «Ciò che abbiamo visto oggi non rispecchia questi principi. È per questo che l’amministrazione Trump mi ha mandato in questo tribunale, a mille miglia di distanza dalla mia famiglia», dichiara il giovane, che però, nonostante il giubilo di Trump su X, non sarà deportato immediatamente. La giudice ha dato fino al 23 aprile ai suoi avvocati per chiedere una pausa dell’ordine di espulsione.
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— The White House (@WhiteHouse) April 11, 2025
Cosa rischia e dove rischia di finire Khalil
Se non ci sarà la pausa sull’ordine di espulsione Khalil rischia di finire in Siria, dove è nato, o in Algeria, Paese di cui è cittadino. Il giovane, dopo un master alla Columbia chiuso nel dicembre 2024, doveva laurearsi a maggio. Faceva parte del gruppo di studenti pro-Pal espulsi dal campus, dopo le proteste e il giro di arresti chiesti dal presidente Donald Trump. In un memorandum alla corte, Rubio aveva affermato che la deportazione del giovane, a cui sta per nascere il primo figlio, è necessaria per «proteggere studenti ebrei da molestie e violenza negli Stati Uniti», anche se le attività di Khalil erano «altrimenti legali».
Lo stratagemma di Rubio per cacciare Khalil
Rubio non era entrato nella questione se Khalil, figlio di palestinesi, sia legato ad Hamas. Ha scelto per la sua espulsione in base a una legge federale dell’epoca della Guerra Fredda, che conferisce al segretario di Stato il potere di stabilire se la presenza di uno straniero negli Usa minacci gli obiettivi di politica estera del Paese. La ministra della Homeland Security Kristi Noem ha applaudito: «Che se ne vada. Ricevere un visto o una green card è un privilegio. Quando si inneggia alla violenza, si sostengono terroristi che gioiscono nell’uccidere americani e si molestano gli ebrei, quel privilegio dovrebbe essere revocato».