«Ucraina divisa come Berlino nel 1945», l’idea scappata all’inviato di Trump (e il dietrofront). La tentazione di cedere il Donbass a Mosca


Dividere l’Ucraina «quasi come Berlino dopo la Seconda guerra mondiale, dove c’era una zona russa, una francese, una britannica e una americana». È l’idea ventilata in un’intervista al Times dal generale Keith Kellogg, inviato speciale di Donald Trump a Kiev, per porre fine al conflitto ormai triennale. Una suddivisione che vedrebbe, nella mente di Kellogg, nelle regioni orientali il controllo diretto dell’esercito russo. Nella zona occidentale le «forze di rassicurazione», già promesse dal presidente francese Emmanuel Macron nello sforzo bilaterale che unisce Parigi e Londra. Al centro, invece, un’ampia area demilitarizzata di circa 30 chilometri che comprenderebbe i centri di Sumy e Kharkiv nonché la centrale nucleare di Zaporizhzia. Un piano che farebbe contenti tutti, anche Washington che non dovrebbe sprecare neanche uno dei suoi uomini. Tutti eccetto Kiev, che da un solo invasore si troverebbe sotto il controllo di forze straniere. Proprio come Berlino nel secondo dopoguerra. Poi la retromarcia su X: «Mi riferivo a forze di resilienza a supporto della sovranità dell’Ucraina. E a una partizione di responsabilità, non effettiva».
April 11, 2025
La fine della guerra in Ucraina e la mappa disegnata da Kellogg
Una strizzatina d’occhio al Cremlino, un’altra all’Europa e alla coalizione sovracontinentale dei «Volenterosi», schierata dichiaratamente al fianco delle forze ucraine. Francia e Gran Bretagna, così come chiunque dei Volenterosi acconsentirà a spedire uomini in terra ucraina, fungerebbero così da vero e proprio «deterrente militare» (o in inglese backstop) per l’armata russa al di là del fiume Dnipro. Un modo, secondo Kellogg, per «essere pronti al peggio». Per accontentare il Cremlino, che ovviamente non gradirebbe la presenza di eserciti occidentali nei pressi del Paese, Washington dovrebbe riconoscere «provvisoriamente» la sovranità di Mosca sulle quattro regioni occupate (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Cherson). E Kiev dovrebbe acconsentire a ritirare la legge marziale e andare a nuove elezioni, assicurando di fatto la cacciata del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

L’incontro Witkoff-Putin e la tentazione di cedere le quattro regioni a Mosca
Quale sia la posizione degli Stati Uniti nei confronti di Vladimir Putin ancora è impossibile stabilirlo. Venerdì 11 aprile, l’inviato speciale di Donald Trump Steve Witkoff ha incontrato Putin a San Pietroburgo. Un dialogo di quattro ore e mezza sul futuro dell’Ucraina. Cosa si siano detti non è noto. Alcune fonti, riportate da Axios, parlano di un ultimatum al Cremlino: ccetta la tregua entro fine aprile o subirai nuove sanzioni. Altre fonti, scrive Reuters, sostengono che Witkoff stesso stia facendo pressione nello Studio Ovale perché sia concessa la sovranità russa sulle quattro regioni annesse nel 2022. Un modo per accontentare Putin e fargli ingoiare il «boccone amaro» dello stop alla guerra e di una pace con Kiev. A questa visione si sarebbe opposto proprio Kellogg, che avrebbe subito la dura reazione dell’entourage di Trump. Al momento, riportano fonti vicine al Cremlino, «nessuna svolta diplomatica». Lo stallo continua, i dialoghi pure. E di Zelensky ai tavoli di pace non c’è ancora traccia.