Neffa: «Nessuno aveva capito che “La mia signorina” era dedicata alla marijuana»


«Ero fissato con gli esercizi di stile e i messaggi impliciti, ma nessuno capì il sottotesto. Neanche i miei fan, che mi massacrarono, convinti fosse una banale canzoncina su una ragazza. Così svelai il mistero, anche se per anni mi sono divertito a confermare e poi negare che parlasse di cannabis, a seconda del contesto». Neffa torna a parlare della canzone «La mia signorina», con cui debuttò da cantante nel 2001. Lo fa con il Corriere della Sera, in un colloquio con Marta Blumi Tripodi, per «Canerandagio Parte 1», in uscita il 18 aprile (con featuring ricchissimi tra cui Izi, Frah Quintale, Ele A, Francesca Michielin, Joan Thiele, Gemitaiz, Fabri Fibra, Myss Keta, Lucariello, STE e Franco126). Album che avrà anche un secondo capitolo.
«Oggi per diventare adulto devi farti quattro anni di trap»
Neffa è tanto, e il suo pubblico lo sa. Da batterista di un gruppo punk con i Negazione negli anni ’80, all’hip hop italiano (con i Sangue Misto e da solista) nei ’90, al pop-soul fino alla canzone partenopea. E torna al rap. «Ormai non faccio più gli album con la testa: “Canerandagio Parte 1” è nato in maniera molto spontanea. Avevo già fatto qualche pezzo rap per provare a me stesso che ne ero ancora capace, e da produttore non ho mai smesso di realizzare strumentali hip hop. Poi l’anno scorso ho conosciuto Ele A, una giovanissima rapper della Svizzera italiana, e ne sono rimasto folgorato. Le ho proposto di collaborare e, dopo aver visto che i miei ultimi esperimenti le piacevano, ho cominciato a prendere contatto con altri rapper. Al terzo brano chiuso, ho capito che stavo tornando a fare quello», spiega al Corriere. Non trap, ma sottolinea, «la amo molto in realtà, da produttore mi capita spesso di cimentarmici. Ormai è un passaggio generazionale obbligato: ai tempi di Goethe per diventare adulto dovevi fare il grand tour dell’Europa, oggi devi farti quattro anni di trap».
«Mi fa sorridere invece quando mi chiamano maestro. Preferirei essere ancora nella fase “solito stronzo”»
E sulle reazioni social al suo ritorno commenta: «Li trovo molto democratici. Ovviamente i commenti negativi mi toccano, ma non sono nulla rispetto ai primi anni 2000, quando c’era chi mi augurava la morte ovunque: una volta mi capitò perfino in una chat di “Top Girl”, una rivista per ragazzine. Mi fa sorridere invece quando mi chiamano maestro. Preferirei essere ancora nella fase “solito stronzo”, come diceva Arbasino». «Ho sempre cercato un senso in tutto – racconta Neffa – a costo di soffrire. Temo la prevedibilità: se vedo un binario davanti a me mi innervosisco, ho bisogno di orizzonti liberi. Sicuramente con alcune scelte ho perso». E infine: «Faccio una provocazione: un artista che pensa anche al suo tornaconto economico è considerato impuro, ma nessuno si sognerebbe di dirlo di un panettiere. Dai nostri cantanti preferiti ci si aspetta abnegazione, tipo novelli Che Guevara, ma non pretendiamo la stessa coerenza dai nostri politici. Ragionamenti simili mi sembrano delle distorsioni».