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Dazi Usa, dai farmaci generici alle terapie oncologiche: quali medicinali sono a rischio e perché l’Italia è in allarme

15 Aprile 2025 - 16:57 Gemma Argento
farmaci data di scadenza
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L'Italia è prima in Europa per produzione farmaceutica e seconda per export. Ma è anche dipendente dall’importazione di principi attivi da Cina e India. Ecco perché il ministro Schillaci volerà con Giorgia Meloni a Washington

L’equilibrio della fabbrica di farmaci globale è delicatissimo, se anche solo un anello della catena venisse meno, tutto si fermerebbe. Dagli Stati Uniti alla Cina, dall’Europa all’India, quell’anello potrebbe trovarsi ovunque nel mondo. È per questo che l’annuncio di Donald Trump della scorsa settimana su «importanti tariffe per le importazioni farmaceutiche» ora fa tremare. Il campanello d’allarme suona in modo inevitabile anche in Italia, prima in Europa per produzione farmaceutica, davanti anche alla Germania. Oltre agli altissimi numeri di persone implicate, si parla di 67mila lavoratori, e un’attività di esportazione che spesso rappresenta quasi il 90% del fatturato di molte aziende italiane, c’è ovviamente un tema sanitario che non può non preoccupare. Quali farmaci sono davvero a rischio e quali parti della delicata catena di produzione potrebbero andare in tilt?

Il funzionamento della filiera farmaceutica globale

Per capire cosa stiamo rischiando e le conseguenze di possibili dazi sulle importazioni farmaceutiche, è necessario guardare alla filiera del farmaco. Dietro ogni compressa, fiala o inalatore che troviamo in farmacia c’è un percorso lungo, internazionale e altamente specializzato. La catena si compone di più fasi, ognuna delle quali può avvenire in Paesi diversi. Un’interruzione in una sola di queste fasi può causare ritardi, carenze o addirittura interruzioni nella fornitura di farmaci essenziali. La prima parte è quella più lunga e costosa che avviene nei laboratori di big pharma in Usa, Europa o Giappone. Include studi di laboratorio, test preclinici e poi trial clinici in più fasi su pazienti. Per i farmaci generici questa fase è ridotta, ci si limita a replicare una formula già nota nelle sue caratteristiche. La filiera poi prende piede con la fase più delocalizzata, quella che prevede la produzione del principio attivo del farmaco, chiamato API, ed è quella sostanza chimica che rende in buona sostanza un farmaco efficace.

Oltre il 60% degli API mondiali viene prodotto attualmente tra Cina e India, per i farmaci generici si arriva anche all’80%. È una parte centrale della catena, dove principi attivi come la metformina per il diabete o l’atorvastatina per il colesterolo vengono prodotti.

La fase che segue è quella della cosiddetta “formulazione”: al principio attivo si dà forma farmaceutica e quindi di compressa, sciroppo, pomata etc. Questo procedimento avviene spesso in Europa, in India o negli Stati Uniti, ed è anche in questo punto della filiera che si aggiungono altre sostanze utili al mantenimento del farmaco, quindi stabilizzanti, eccipienti e rivestimenti.

Ogni lotto prodotto è sottoposto a rigidi controlli da parte dell’azienda e degli enti regolatori come la Fda negli Stati Uniti, l’Ema in Europa e l’Aifa in Italia. Fase che serve a garantire che il farmaco sia sicuro e conforme alle norme di buona fabbricazione, indicate con la sigla GMP, Good Manufacturing Practice. Da qui parte la procedura di confezionamento e distribuzione: il farmaco finito viene confezionato in blister, fiale e flaconi e passa alla distribuzione, basata su una logistica spesso molto delicata, con trasferimenti per esempio a temperatura controllata, le “catene del freddo” ad esempio di cui spesso si è sentito parlare in tempo di vaccini anti Covid. In Italia spesso la distribuzione è centralizzata da grossisti farmaceutici o aziende ospedaliere.

Dove agirebbero i dazi?

I dazi minacciati da Trump con buone probabilità si concentrerebbero su due snodi centrali della filiera:

  • Principi attivi importati da Cina e India, fondamentali per i generici e i farmaci cronici
  • Prodotti finiti provenienti dall’Europa

Colpendo questi due punti, si mette a rischio l’intera catena, in particolare per quei farmaci che hanno margini bassi di guadagno: se il costo delle materie prime aumenta a causa dei dazi ma il prezzo finale non può aumentare, il farmaco diventa antieconomico. A rischio anche i medicinali prodotti poco negli Stati Uniti o quelli o quelli destinati a patologie rare e complesse.

Il caso italiano: forti nell’export, deboli nelle materie prime

L’Italia è una potenza farmaceutica europea, prima per produzione e seconda per export. Ma è anche fortemente dipendente dall’importazione di principi attivi da Cina e India. La carenza di queste materie prime o il loro rincaro può minare l’intera filiera industriale italiana, mettendo in difficoltà aziende, ospedali e pazienti. Secondo i primi calcoli di FederFarma l’impatto dei dazi al 25% tra Stati Uniti e altri Paesi potrebbe arrivare a costare 76,6 miliardi di dollari alle aziende farmaceutiche, di cui 2,5 miliardi a carico delle industrie del settore che operano in Italia.

Andando ancora di più nello specifico, quali sarebbero i farmaci messi più a rischio dai dazi statunitensi?

Le categorie più esposte risultano quelle dei farmaci generici e dei biosimilari, e cioè simili ma non identici ai prodotti originali. Si parla per esempio di principi attivi per:

  • Infiammazioni croniche come l’ibuprofene o il naprossene
  • Diabete, come metformina o glibenclamide
  • Colesterolo, come atorvastatina o simvastatina
  • Epilessia come valproato di sodio e carbamazepina
  • Depressione e ansia come fluoxetina e sertralina
  • Ipertensione come ramipril e enalapril

E poi ci sono i biosimilari per il cancro e le malattie autoimmuni, come

  • infliximab per l’artrite reumatoide
  • rituximab per leucemie e linfomi
  • trastuzumab per il tumore al seno

Farmaci vitali, spesso senza alternative economiche. Un aumento anche minimo dei costi di produzione potrebbe renderli antieconomici da distribuire, col rischio di ritiro dal mercato o di carenza cronica.

L’angolo cieco: i farmaci oncologici orfani

C’è un’ulteriore minaccia silenziosa che preoccupa gli esperti: i farmaci oncologici orfani, usati cioè per tumori rari o aggressivi. Sono costosissimi da sviluppare e rivolti a pochissimi pazienti. Se la filiera si interrompe, potrebbero sparire, lasciando pazienti senza opzioni terapeutiche. Di solito ricevono incentivi speciali per incoraggiare le aziende a svilupparli: da soli non sarebbero economicamente sostenibili. Tra gli incentivi una protezione del brevetto più lunga, delle esenzioni da tasse regolatorie e un accesso prioritario alla valutazione dell’agenzia regolatoria. Anche questi risulterebbero a rischio con i dazi: se la produzione di principi attivi diventasse ancora più difficile o costosa, come nel caso di barriere doganali, sarebbero tra i primi a sparire per la complicata sostenibilità di produzione.

Le conseguenze per l’Italia

In Italia l’impatto delle misure commerciali annunciate da Trump si farebbe sentire prima di tutto sulle fasce più fragili della popolazione. Secondo Egualia, l’associazione che rappresenta i produttori di farmaci generici ed equivalenti, il settore è già sotto pressione da anni: prezzi calmierati, gare d’appalto al ribasso, margini sottilissimi. Basta un soffio — come un dazio sui principi attivi — perché l’equilibrio si rompa.

Nel nostro Paese, oltre il 70% dei farmaci dispensati in ospedale o in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, spesso equivalenti, coprono le principali patologie croniche e rappresentano una colonna portante della sanità pubblica. Al momento, se i costi di produzione aumentassero a monte, come avverrebbe con un dazio sui principi attivi cinesi o indiani, le aziende produttrici in Italia non avrebbero margini per assorbire la differenza. La possibilità di aumentare i prezzi poi sarebbe non solo un disincentivo alla cura per i pazienti, ma un’opzione bloccata a monte in quanto cifre stabilite dall’Aifa e ferme da anni. Il risultato quindi sarebbe quello di gravi blocchi sulla produzione, ritardi nella consegna, riduzione delle alternative di cura e cambi di terapie non sempre facili.

Senza contare poi l’aspetto della concorrenza tra Paesi. Gli Stati Uniti per primi cercheranno di accaparrarsi i lotti disponibili. L’Italia rischia di trovarsi in coda, senza le scorte necessarie, con un Sistema Sanitario Nazionale che già da anni continua a fare i conti con i limiti di bilancio. Il rischio è che parte dei costi dei dazi si trasferiscano sui cittadini con aumenti dei ticket o la necessità di farmaci di marca più costosi quando l’equivalente non è disponibile.

L’Europa in allerta, la strada dei negoziati prima delle contromisure

L’annuncio di Donald Trump sull’introduzione di dazi sulle importazioni farmaceutiche ha scosso l’Unione Europea, spingendo le istituzioni a cercare soluzioni per proteggere l’accesso ai farmaci e la stabilità dell’industria. «Se i negoziati non saranno soddisfacenti, scatteranno le nostre contromisure. Tutte le opzioni sono sul tavolo» ha detto la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen in un recente incontro con i rappresentanti dell’industria farmaceutica europea chiamati a rapporto dopo l’annuncio Usa. La richiesta dei produttori alla Commissione Ue è stata quella di intervenire con urgenza per rafforzare il mercato unico e renderlo più competitivo.

A questo proposito la decisione di Trump di sospendere i dazi per 90 giorni potrebbe dare ulteriore tempo all’Ue per eventuali negoziazioni, e se necessario, per contromisure mirate a proteggere gli interessi dei Paesi membri. Anche l’Italia al momento sembra essere della stessa linea, decisivo potrebbe essere la visita del prossimo 16 aprile da parte della premier Meloni negli Stati Uniti, un’occasione in cui sarà presente anche il ministro della Salute Orazio Schillaci: «Serve una negoziazione, ha detto commentando l’annuncio degli Usa sulle possibili nuove tariffe, «i dazi sono per i farmaci un nodo molto delicato», ha commentato esprimendo anche in questo caso fiducia sul periodo di tregua deciso da Trump.

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