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Il caso “Bibi”: le presunte impronte di dinosauro in Sardegna non convincono i paleontologi

16 Aprile 2025 - 12:31 Juanne Pili
L'hannno presentata in pompa magna come il primo dinosauro sardo, ma in assenza di uno studio i paleontologi sono scettici

Tutto è cominciato un anno fa. Tre docenti delle Università di Sassari e Cagliari erano impegnati a perlustrare il territorio attorno a Baunei, in Ogliastra. Si svolgevano le riprese di un documentario prodotto dalla Mgb. Qui, nella zona di Monte Oro, i ricercatori avrebbero rinvenuto le impronte del primo dinosauro scoperto in Sardegna. Farebbe parte dei teropodi, un gruppo di dinosauri che comprende tutti quelli carnivori che conosciamo, anche se non tutti i teropodi lo erano. Gli uccelli per esempio, sono un particolare gruppo di dinosauri teropodi, nonché l’unico sopravvissuto al cataclisma avvenuto 66 milioni di anni fa. Noi useremo genericamente il termine “dinosauro”, anche perché ci sono volte in cui i ricercatori indicano l’animale come ornitopode.

Cosa sappiamo del presunto dinosauro sardo

Il presunto dinosauro sardo ha anche un nome: “Bibi”. Secondo quanto riporta l’Ansa, si tratterebbe del primo dinosauro femmina della Sardegna. Anche se non è chiaro come si sia arrivati a tale ipotesi. «Possiamo essere in grado di ricostruire la taglia, le dimensioni e anche la velocità con cui si muoveva il teropode», assicura il medico veterinario dell’Università di Sassari Marco Zedda, consultato in qualità di paleontologo dagli scopritori e da varie testate locali che hanno ripreso la notizia. Il problema è che stiamo parlando di tre tracce trovate su una roccia che dovrebbero rappresentare una singola impronta datata tra i 165 e i 170 milioni di anni fa, di cui «non ci sono riscontri scientifici certi», precisa l’Agenzia di stampa, che definisce quella del dinosauro una «ipotesi romantica».  

La geomorfologa Stefania Sias, il vulcanologo Antonio Assorgia e il geomorfologo Sergio Ginesu hanno deciso di rendere pubblica la loro presunta scoperta in una conferenza stampa, tenutasi recentemente nel comune di Baunei e una a Sassari. Ma non c’è stato ancora nemmeno un convegno scientifico vero e proprio, alla presenza di paleontologi esperti di icnologia (la branca della paleontologia che studia le impronte fossili). Non solo, manca anche un articolo pubblicato su una rivista autorevole di settore, come per esempio Ichnos, che sottopongono alla rigorosa revisione di esperti le ricerche prima della pubblicazione.

Due dei ricercatori, Ginesu e Sias, li ritroviamo protagonisti 20 anni fa assieme a Jean Marie Cordy di un’altra “scoperta”. Ritennero di aver trovato una falange che sarebbe appartenuta a uno dei primi Homo erectus ad essere entrati in Sardegna. Il reperto si rivelò poi essere appartenuto a un antico avvoltoio, un «grosso uccello della sottofamiglia Gypaetinae», secondo quanto è riportato nell’analisi dell’archeozoologa Barbara Wilkens, eseguita assieme ad altri autori.  

Perché «Bibi» non convince i paleontologi?

Quindi, come riportato correttamente dall’Ansa, non ci sono riscontri scientifici veri e propri. Il 15 aprile l’Unione Sarda ha pubblicato l’intervista del collega Simone Loi a due esperti sardi. Si tratta dei paleontologi Luigi Sanciu e Daniel Zoboli.

Sanciu, geologo e paleontologo, direttore del polo naturalistico di Masullas e del parco di Genoni, ha definito la presunta scoperta una «scena carente di metodo scientifico»:

«Fare una conferenza senza avere pubblicato i dati e le analisi su una rivista confrontata tra studiosi non ha alcun senso – continua l’esperto sull’Unione Sarda -. Di conseguenza i più noti paleontologi hanno reagito alla notizia smentendo ogni cosa. Le impronte sono semplici forme di corrosione superficiale del calcare».

Secondo il paleontologo Andrea Cau, autore di Theropoda Blog, le presunte impronte si spiegano solo come un caso di pareidolia:

«Mi spiace per chi pensa che questa sia un’orma di dinosauro, ma non è una spiegazione plausibile. Senza una descrizione tecnica su una rivista scientifica soggetta a revisione da parte di paleo-icnologi (i soli qualificati a stabilire se questa sia un’orma fossile), non ci sono motivi per considerate queste tracce ovali su una roccia come impronte di animale, ancor meno di dinosauro. Temo sia un caso di pareidolia». 

La replica dei sostenitori di «Bibi» ai paleontologi

Ginesu, Zedda e il sindaco di Baunei Stefano Monni hanno replicato alle critiche dei paleontologi in una intervista nelle stesse pagine dell’Unione Sarda. Firma l’articolo il collega Giampaolo Porcu. Anche se affermano che al momento «non intendiamo replicare in nessun modo alle accuse che ci vengono mosse. Tutto verrà chiarito nelle sedi opportune, a livello di riviste scientifiche. Coloro che fanno a gara per sminuire la portata della scoperta potevano partecipare agli incontri di Sassari e Baunei».

«Capiamo perfettamente che la questione delle impronte di dinosauro trovate a Monte Oro richiede tanta cautela e che bisognerà attendere il responso della comunità scientifica con tanto di pubblicazione – commenta il sindaco Monni sull’Unione Sarda- ma mi chiedo se c’è un rigore scientifico in chi, avendo visto soltanto una foto, esclude categoricamente la bontà e la qualità della ricerca».

Da queste affermazioni possiamo dunque dedurre che gli stessi sostenitori della presunta scoperta ammettono di non averla ancora accertata scientificamente. Ma davvero quelle dei paleontologi sono critiche basate meramente su delle foto?

Dinosauri sardi e come trovarli

Il già citato paleontologo Zoboli spiega a Open come si dovrebbero accertare scientificamente le impronte di dinosauro. Nella conferenza stampa a un certo punto Ginesu fa un confronto con quella che dovrebbe essere una impronta autentica di teropode. Sembrano esserci delle corrispondenze con quella trovata a Monte Oro. È corretto questo tipo di confronto?

«Da quello che è stato mostrato nella conferenza – spiega Zoboli -, pare abbiano visto delle analogie morfologiche tra le tre depressioni ovali e una traccia di ornitopode, la cui immagine si trova nello studio di Wilson et al., 2009. Questa traccia però ha altre caratteristiche come l’impronta del resto della “pianta del piede” e quella lasciata dall’arto anteriore”, perché questi animali potevano spostarsi anche su quattro zampe. Queste caratteristiche non sembrano presenti nella presunta traccia sarda».

I calchi delle impronte del dinosauro

È anche vero che Ginesu a un certo punto fa vedere in conferenza stampa anche dei calchi. Inoltre i ricercatori sostengono di aver calcolato anche il peso e la velocità dell’animale. Come hanno fatto? «Se hanno fatto dei calchi delle superfici, come sembrerebbe essere stato fatto per lo studio – continua il paleontologo -, hanno sicuramente chiesto e ottenuto il parere favorevole degli organi competenti. Per avere la certezza che si tratti di una impronta di dinosauro sarebbe necessario averne come minimo un paio in sequenza o meglio ancora una pista con più impronte. Le tracce possono dare informazioni sia sull’animale che le ha lasciate che sul substrato su cui ha camminato, come ad esempio l’umidità del sedimento al momento del suo passaggio. Questi dati vanno analizzati e interpretati nella maniera più opportuna. Qui sembra essere stato dato per certo anche l’icnogenere di appartenenza, anche senza uno studio revisionato da paeleoicnologi dei dinosauri. A mio parere è un modo un po’ incauto di procedere per presentare una ricerca». 

Il contesto geologico del ritrovamento

Eppure quella sembra proprio l’impronta di un animale. «Loro dicono di averla trovata lì nelle pendici di Monte Oro – dice l’esperto -, un rilievo nei pressi di Baunei. Però dalle fotografie non si può avere la certezza di cosa hanno studiato. Ad ogni modo quei buchi che si vedono (non mi riferisco alle tre palline, ma ai buchi che si vedono nella parte più bassa che loro si mettono a spruzzare con l’acqua in alcuni video), quelle sembrano avere l’aspetto di piccole vaschette di corrosione carsica, quindi fino a prova contraria è improbabile che si tratti di icnofossili».

Allora di cosa potrebbe trattarsi? «Probabilmente si tratta di carsismo superficiale – precisa Zoboli -. Praticamente le rocce di origine carbonatica subiscono dei processi di erosione naturale che le portano ad assumere forme “strane” e molto spesso si formano queste vaschette, che possono sembrare delle impronte, ma in realtà non lo sono affatto. Poi bisogna vedere se vi è una chiara superficie di calpestio, la possibile presenza di deformazione da carico nel sedimento sottostante, eccetera».

Come si fa a dimostrare questi ritrovamenti scientificamente?

In conclusione abbiamo chiesto al dottor Zoboli di stilare una lista di cose che un icnologo dovrebbe fare per dimostrare scientificamente di aver rinvenuto una impronta di dinosauro.

«Prima di tutto occorre conoscere il contesto geologico – continua il paleontologo -, quindi dove sono impresse queste impronte. La cosa più sensata da fare è capire se quella sia una superficie di strato, cioè quello che era la vecchia topografia dell’ambiente passato. Quindi per esempio, una piana di marea o le rive di un lago o di un fiume, ovvero, una superficie piana in cui gli animali camminavano e lasciavano le loro impronte. Seconda cosa: basarsi su una singola impronta è molto rischioso, perché anche se può sembrare un’impronta al 100%, se non hai almeno una coppia di impronte è un po’ come giocare d’azzardo. Quindi l’ideale sarebbe trovarne di più (meglio se sono almeno una serie) ma anche due in sequenza, se chiare e inequivocabili, potrebbero essere sufficienti. Allora in quel caso ci sono altissime probabilità che si tratti di un’impronta».

«Un’altro segnale che si può vedere è se c’è una deformazione del fango, quindi del sedimento quando non era ancora dura roccia – spiega l’esperto -. Perché il peso di un animale che cammina su un substrato fangoso può produrre deformazioni da carico anche sotto la superficie di calpestio e dunque deformare anche le eventuali laminazioni presenti più in profondità. Conta anche la morfologia. Ci sono diversi tipi di impronte di dinosauro, che rispecchiano la grande variabilità dei dinosauri carnivori, erbivori, bipedi, quadrupedi, grandi e piccoli. Poi un’altra cosa da vedere è quanto questo sedimento era morbido al momento del passaggio dell’animale. Se il sedimento è molto morbido, spesso il fango tende a ripercolare all’interno dell’orma. Se è secco l’impronta sarà lieve, se è una via di mezzo l’impronta sarà probabilmente più evidente. Quindi Ci sono un sacco di parametri che l’icnologo deve valutare prima di avere la certezza di quello che dice». 

Dinosauri sardi?

Ma è plausibile che un giorno si trovino delle comprovate impronte di dinosauro? «Assolutamente sì – conclude Zoboli -. Tra l’altro è proprio quel tipo di depositi giurassici in cui potrebbe essere più probabile trovare impronte. Infatti tutti gli elementi a disposizione sono proprio quelli legati alla possibile presenza: cioè abbiamo un’età che è quella giusta; un tipo di roccia che se verificata potrebbe essere quella giusta. Una cosa che non è scientificamente corretta nel caso di Bibi, è quella di aver diffuso queste informazioni per mezzo stampa, senza avere prima alle spalle uno studio scientifico già pubblicato».

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