Rebibbia, detenuto con problemi psichici si toglie la vita impiccandosi alla porta della cella: è il 29esimo suicidio dall’inizio dell’anno


Un detenuto italiano di circa 50 anni, con problemi psichici, si è tolto la vita impiccandosi alla porta aperta della cella nel carcere di Rebibbia. Si tratta del 29esimo suicidio dall’inizio dell’anno, l’ennesimo «che coinvolge un detenuto con problemi mentali», denuncia Aldo Di Giacomo, segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria. «L’aumento nel giro di un paio di anni è del 40 per cento – sottolinea -. Si tratta di persone che non dovrebbero trovarsi in istituti penitenziari ma in strutture socio-sanitarie assistenziali specializzate». Un problema strutturale, amplificato anche dalla «mancanza di posti disponibili all’interno delle Rems» (Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), strutture sanitarie che accolgono persone con disturbi mentali che hanno commesso un reato.
«Mancano protocolli di collaborazione tra sanità e giustizia»
«I posti sono insufficienti – denuncia Di Giacomo -, l’attesa per il trasferimento dal carcere è molto lunga e non sono stati attuati protocolli di collaborazione tra sanità e giustizia, alla base dello sviluppo di prassi ancora non generalizzate ma in molte realtà assai proficue per l’assistenza ai detenuti con problemi psichici». A questa situazione si aggiunge una carenza di personale medico, psicologi e psichiatri nelle carceri. «I detenuti con problemi psichici richiedono un piano di supporto psicologico con la presenza nelle carceri di psicologi, psichiatri, mediatori culturali, come di interpreti perché la mancanza di comunicazione incide tanto – afferma ancora -. Ma ora il loro numero è del tutto insufficiente». Come sindacato – ricorda infine Di Giacomo – «abbiamo da tempo proposto l’apertura di uno Sportello di aiuto psicologico in ogni struttura e la promozione di attività sociali e lavorative oltre a corsi di formazione e di lingua per gli extracomunitari». Dopo la sue morte, i detenuti hanno alzato una protesta danneggiando la sala infermeria.
«È in atto una caccia alle streghe nel nostro Paese contro chi è o è stato in carcere»
Per il Garante delle persone private della libertà della Regione Lazio, Stefano Anastasia, il suicidio del detenuto a Rebibbia «è l’ennesima dimostrazione di un sistema che, nonostante l’impegno degli operatori sanitari e penitenziari, non funziona e che invece viene continuamente sovraccaricato di domande a cui non può rispondere». «Sappiamo – prosegue il Garante – che si trattava di un uomo in carcere da tempo e con un fine pena ancora lontano, alloggiato nella sezione dedicata ai detenuti con problemi psichici, ma non era destinato a una Rems, perché sempre riconosciuto responsabile delle sue azioni». Secondo Anastasia, «avrebbe potuto però essere ammesso a un’alternativa alla detenzione per motivi di salute, ma la caccia alle streghe in atto nel nostro Paese contro chiunque sia o sia stato in carcere e le carenze del sistema di assistenza psichiatrica territoriale rendono difficile trovare e concedere alternative». A tutto ciò, dice ancora il Garante, si aggiunge ora «anche quello scellerato e incostituzionale decreto-legge (decreto Sicurezza, ndr), che prevede quattordici nuovi reati, nove aggravanti e la detenzione per le donne incinte e i neonati, mentre le carceri scoppiano e noi continuiamo a contare le morti di chi vi è costretto».