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Mamma e feto morti al Salesi di Ancona, medico a processo per interruzione colposa di gravidanza

22 Aprile 2025 - 23:05 Alba Romano
mamma e feto morti
mamma e feto morti
Nell'inchiesta, partita da un parto finito tragicamente al Salesi di Ancona, sono state archiviate 22 posizioni

Una dirigente medico di 66 anni è a processo al tribunale di Ancona per la morte di un feto arrivato alla 38esima settimana (quindi quasi a fine gravidanza) avvenuta il 24 agosto del 2019, all’ospedale Salesi di Ancona. La dirigente, che all’epoca era responsabile dell’attività ambulatoriale della clinica di Ostetricia e Ginecologia del Salesi, aveva visitato la partoriente tre giorni prima della morte in grembo, ed è accusata di interruzione colposa di gravidanza. Zohra Ben Salem, 34 anni, di origine tunisina e residente a Loreto (Ancona) morì proprio mentre dava alla luce il suo bambino, ormai privo di vita. Era madre di altri due bambini.

La visita tre giorni prima del monitoraggio e infine l’assenza di battito

La mamma si recò al Salesi per fare un monitoraggio programmato. Tre giorni prima era già stata in ospedale per controlli e nonostante fosse una paziente a rischio, le avevano diagnosticato una patologia insorta con la gravidanza (diabete gestazionale), era stata rimandata a casa. Al monitoraggio di controllo i medici si erano accorti che il feto, una bambina già formata, non aveva più battito così le era stato indotto il parto. Nel partorire però subentrò una complicazione, una embolia polmonare da liquido amniotico (secondo l’autopsia), portando anche la donna al decesso. La Procura aveva aperto un fascicolo con due ipotesi di reato, a carico di 23 persone (tutto personale sanitario), omicidio colposo e interruzione colposa di gravidanza. Per 22 di loro la posizione è stata archiviata. Per la dirigente medico, difesa dall’avvocato Marco Pacchiarotti, è in corso il processo davanti alla giudice Antonella Passalacqua. Oggi sono stati sentiti due periti della difesa, il medico legale Mauro Pesaresi e il ginecologo Domenico Arduini, e la stessa imputata. I due consulenti di parte hanno evidenziato come la morte del feto è stata improvvisa e anche se la paziente fosse stata ricoverata nei tre giorni precedenti non c’erano certezze di salvare la bimba tenuta in grembo. «Segni premonitori della morte endouterina fetale sono scarsi o mancano del tutto in questi casi», hanno dichiarato i periti. Stando alle accuse invece la dirigente medico non avrebbe impedito l’interruzione di una gravidanza ad alto rischio, dove i valori glicemici erano alterati, dove non è stato tenuto conto della crescita del feto (arrivata al 95%) e dove la partoriente non sarebbe stata informata dell’opportunità di un ricovero per induzione al parto al fine di ridurre il rischio di morte.

La difesa: «Il peso della bambina non era indicativo di uno scompenso diabetico»

Secondo la dirigente, ora a processo «il peso del bambino non è indicativo di scompenso diabetico, era dentro i limiti, non c’era un quadro clinico critico, i valori erano nella norma, compreso il liquido amniotico e anche il monitoraggio era andato bene tanto che le abbiamo detto di tornare dopo 3 giorni». La famiglia della 34enne è stata nel frattempo risarcita dall’assicurazione dell’ospedale con 120mila euro. Prossima udienza il 27 maggio.

(Foto di Shashank Verma su Unsplash)

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