«Voleva essere un duro, ma è diventato un puro»: Marco Travaglio si innamora perdutamente di Lucio Corsi


“Voleva essere un duro, ma è diventato molto di più: un puro”. Marco Travaglio si è perdutamente innamorato di Lucio Corsi dopo avere visto un suo concerto venerdì santo all’Atlantic di Roma. Che il direttore del Fatto quotidiano ha voluto recensire con la sua firma e toni idilliaci. Travaglio racconta che Corsi «canta e suona con la chitarra a tracolla, l’armonica a bocca al collo, le dita che danzano sulla tastiera del pianoforte-organo, il corpo sottile da fauno stretto nelle spalline tipo ali di farfalla, nella tutina aderente bianco-rossa tipo calcio medievale fiorentino o Peter Pan di Disney». E spiega: «Questo Lucio Corsi non è una delle tante meteore che brillano a Sanremo e poi si spengono qualche mese o anno dopo. Ne sentiremo parlare ancora a lungo. Voleva essere un duro, ma è diventato molto di più: un puro».
La naïveté
E cita «il secondo posto a Sanremo, l’Eurovision in arrivo, il Disco d’oro, i 30 milioni di clic su Spotify, i sold out di questo Club Tour e delle date estive negli ippodromi di Roma e Milano». Perché secondo lui Corsi «non perde la naïveté. Si prende tutte le libertà che vuole. Non cerca effetti speciali né regie costruite né scenografie laccate che mettano ordine in quel casino del palco troppo piccolo e troppo affollato (almeno all’Atlantico di Roma, dove l’abbiamo visto venerdì)». Con lui suonano Filippo Caretti (basso e cori), Filippo Scandroglio (chitarra), Giulio Grillo (tastiere e cori), Iacopo Nieri (Pianoforte e cori), Carlo Maria Toller (tastiere e chitarre), Marcon Ronconi (batteria).
L’argento vivo addosso
E soprattutto «Lucio Corsi ha l’argento vivo addosso: vuol far ascoltare più pezzi possibile e li esegue un po’ più veloci che nelle versioni incise. Piacevoli, spassosi, ironici, ora dolci ora scorretti (“sigarette sigarette… fumerò per sempre”), miniere di paradossi e ossimori (“per stare soli servono carezze”, “nemmeno da vecchi si sa cosa faremo da grandi”). Alterna rock duro, brani più melodici per sola voce e piano, la cover di Nel blu dipinto di blu di Modugno (a Sanremo ci aveva duettato con Topo Gigio), gli omaggi per palati fini a Lucio Dalla (una strofa di E non andar più via), alla canzone popolare della sua terra (Maremma amara) e al suo mito Randy Newman (la versione italiana e scorrettissima di Short people: “La gente bassa”, che “non ha ragione di vivere”)».
«Le contaminazioni e le citazioni sono dichiarate, rivendicate: cambi d’abito e dissacrazioni ricordano il Renato Zero delle origini, i frullati sarcastici di nomi letterari e storici vengono dal primo Battiato, il primato delle chitarre da Graziani, da Bennato e da un pezzo di un altro Lucio (Battisti). Che, con Corsi e Dalla, forma una splendida trilogia, almeno nell’omaggio. “Non sono altro che Lucio”: hai detto niente».