Matteo Renzi e le fughe segrete da premier per incontrare papa Francesco: «Con lui si parlava di tutto, era come si vedeva in pubblico»


Matteo Renzi racconta di aver incontrato molte volte Papa Francesco, spesso di nascosto facendolo sapere solo alla sua scorta. Dopo la morte del pontefice, l’ex premier nella sue newsletter ha scritto un lunghissimo ricordo personale su Bergoglio e di quegli incontri un po’ clandestini, quando «è capitato in più di una circostanza di andare a trovarlo senza dirlo a nessuno, se non agli uomini della scorta». Questo perché a Bergoglio non piaceva il protocollo, racconta Renzi.
Gli incontri di nascosto tra Renzi e Bergoglio
Renzi ricorda come faceva ad andare a trovare il Papa a Santa Marta quando era premier. «Uscivo in incognito da Palazzo Chigi con una utilitaria, ed entravo in Vaticano, a Santa Marta, per dialogare in modo informale con Papa Bergoglio. Erano scambi di opinione soprattutto sulle vicende internazionali, in una stagione segnata dagli attentati degli estremisti islamici. Tengo per me, come è giusto, il contenuto di quei dialoghi ma mi colpisce un particolare: tutte le volte che finivamo di parlare il Papa mi accompagnava fino alla macchina. Anche quando aveva mal di schiena (allora capitava spesso) si aggrappava al corrimano, saliva le scale e aspettava che uscissi e salissi in auto. E quando gli dicevo: Santo Padre, stia qui, salutiamoci adesso, non si preoccupi, mi rispondeva che lo faceva con tutti e che era un dovere di ospitalità. Piccoli gesti di attenzione».
L’incontro privato con la famiglia Renzi
Nell’aprile 2014, poche settimane dopo essere diventato presidente del Consiglio, Renzi porta la moglie Agnese e i figli Francesco, Emanuele ed Ester dal Papa per un «incontro strettamente privato». Era quello un momento critico per la famiglia Renzi, scombussolata dal cambiamento di vita: «Papa Francesco resta da solo per oltre mezz’ora con noi, a parlare con i ragazzi. Il Papa ci accoglie e ci fa sentire a casa. Chiede ai figli come va a scuola. Si mette in cerchio con noi e propone di recitare tutti insieme un’Ave Maria. Alla fine della preghiera Emanuele dice la cosa più semplice e più bella: sembra di stare con Padre Enrico. Padre Enrico è il sacerdote gesuita che la nostra famiglia aveva imparato a conoscere ed apprezzare durante i periodi di “discernimento” che la spiritualità ignaziana offre. Essere nel cuore del Vaticano e sentirsi come in famiglia».
Il «patto» tra Renzi e il Papa
Bergoglio salutando la famiglia Renzi aveva detto ai figli: «”mi raccomando, ho fatto un patto con il vostro papà. Io pregherò per lui, lui pregherà per me”. E in pulmino tornando verso Palazzo Chigi i commenti dissacranti dei miei figli – ricorda Renzi – sul fatto che questo accordo non fosse equo perché “dai babbo, così non è giusto: il Papa prega davvero, non è come te che ti addormenti”». Insomma, dice Renzi: «eravamo andati ad incontrare il sommo Pontefice della Chiesa universale ma la famiglia Renzi si era sentita accolta nel modo più semplice e profondo perché Francesco si era posto con quell’umanità che lo ha reso speciale».
Il viaggio del Papa in Terra Santa e il mancato saluto
«Certo, aveva anche il suo caratterino mica da ridere – scrive ancora il leader di Italia Viva – E non amava la strumentalizzazione di una parte del mondo politico, religioso, accademico. Così, il giorno prima delle Europee, nel maggio 2014, decido di non andare a salutarlo all’aeroporto mentre è in partenza per un viaggio in Terra Santa. Un’antica consuetudine prevede che il Presidente del Consiglio si rechi a Fiumicino o Ciampino per salutare il Santo Padre alla partenza del volo. È il sabato della vigilia elettorale. Politicamente è una ghiotta occasione. Francesco è amatissimo, soprattutto nei primi mesi di pontificato. Tutte le telecamere sono pronte a riprendere le immagini della sua partenza per Gerusalemme. I miei mi dicono: dai che ci facciamo un giro sui Tg senza violare la par condicio. Magari ci aiuta anche per le elezioni. Non mi va. Decido allora di mandargli qualche ora prima un biglietto a mano: “Santo Padre, scusi se non vengo a salutarla. Ma siamo in campagna elettorale. Magari la mia presenza diventa occasione di polemica anche verso di Lei. Verrà una rappresentante del Governo, io resto a Palazzo e spero comunque di rivederla presto”».
La telefonata di Bergoglio
«E così mentre la ministra Marianna Madia mi sostituisce e va a salutare il Papa come da protocollo, io ricevo una telefonata da “numero privato”. Nessun segretario, nessun saluto introduttivo, nessun giro di parole. Sento una voce parlare in italiano con accento argentino. E mi dice tutto allegro: “Lei ha fatto bene! Dobbiamo evitare strumentalizzazioni”. E poi ironico “Forse questi giovani politici non sono così male, dai. Forse eh”. E ride. Sono contento, ringrazio, saluto e auguro buon viaggio. Poi quando metto giù mi viene il dubbio: ma era davvero lui? E se mi hanno fatto uno scherzo telefonico?».
«Non era uno scherzo telefonico. E del resto il Papa era in privato come lo vedevi sui media. Con lui si parlava di tutto. Anche di temi delicati sul piano etico: sono gli anni in cui vengo attaccato da parte del mondo cattolico per la Legge sulle Unioni civili. “Renzi ce ne ricorderemo” scriveranno al Circo Massimo gli organizzatori di un evento contro il mio Governo».
La lettera dopo le dimissioni
«Quandi mi dimetto da premier», Papa Francesco «mi invia una commovente lettera scritta a mano, con la bellissima calligrafia che lo contraddistingue e che inizia con l’espressione “Caro fratello”. Fa riferimento al mondo scout, mi invita a rialzarmi. Sono parole preziose che mi porto dietro da quasi dieci anni». Renzi ricorda il momento critico per Bergoglio che decise di fare un viaggio rischioso: «Quando lancia il Giubileo della Misericordia, che si apre a fine 2015 e si chiude a novembre 2016, decide di inaugurarlo nella Repubblica Centrafricana. Per la prima volta nella storia della Chiesa un Giubileo vede aprire la Porta Santa non a Roma, non in Vaticano, ma a Bangui. Che è la capitale di un Paese dilaniato dalla guerra, dalla tragedia, dai massacri. Adesso si può dire: il viaggio del Papa preoccupa tutte le cancellerie internazionali. Sono passate due settimane dal dramma del Bataclan, il mondo è sconvolto dagli attentati, captiamo diversi segnali di allarme».
«I nostri apparati di intelligence e di sicurezza sono al lavoro per aiutare il Vaticano- aggiunge Renzi – ma sono preoccupati e dunque mi chiedono di andare dal Papa per capire se possiamo rimodulare la visita, se può evitare di rischiare così tanto. “Presidente, lei ha un ottimo rapporto personale con il Papa. Vada lei a incontrarlo informalmente. Provi a farlo desistere dalla sua idea di inaugurare l’Anno Santo in Repubblica Centrafricana. Lo convinca”. Come no, semplicissimo – scrive Renzi -. Vado a Santa Marta informalmente. Mentre raggiungo il Vaticano nascosto in una piccola utilitaria Lancia, per non destare sospetti ai giornalisti appostati fuori da Chigi, rimugino su come posso provare a convincerlo. Non faccio in tempo a introdurre l’argomento. Appena arrivo e ci mettiamo a parlare il Papa mi ringrazia per tutto l’impegno dei nostri per la sua sicurezza in Repubblica Centrafricana e mi travolge con l’entusiasmo per inaugurare il Giubileo laggiù come “segno di misericordia e riconciliazione”. Quando rientro a Chigi mi chiedono “sei riuscito a convincerlo?”. Non ho il coraggio di dire la verità: non sono riuscito nemmeno a provarci. Perché quando Francesco si mette in testa un’idea è difficile fermarlo. Irremovibile, anche se sorridente. Come pure mi sorride in occasione dell’ultimo incontro prima delle dimissioni».
«Lui alla fine mi chiede: “Come va con questo referendum?”. Mancano due settimane alla sconfitta del 4 dicembre. Lo guardo. Mi guarda. “Andare per me va benissimo, gli dico. Ma i sondaggi non la pensano come me”. Scoppia la risata».