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Il “testamento” di Papa Francesco: «La morte non è la fine: è l’inizio di qualcosa»

22 Aprile 2025 - 08:08 Alba Romano
papa francesco angelo scola
papa francesco angelo scola
La prefazione al libro di Angelo Scola scritta prima del ricovero al Gemelli

Il testo è datato “Città del Vaticano, 7 febbraio 2025”, cioè una settimana prima del ricovero al Policlinico Gemelli. Si tratta della prefazione al libro del cardinale Angelo Scola “Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia”, pubblicato dalla Lev (Libreria Editrice Vaticana). A parlare è proprio Papa Francesco e l’oggetto delle sue riflessioni è la morte. Che «non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa. È un nuovo inizio, come evidenzia saggiamente il titolo, perché la vita eterna, che chi ama già sperimenta sulla terra dentro le occupazioni di ogni giorno, è iniziare qualcosa che non finirà. Ed è proprio per questo motivo che è un inizio ‘nuovo’, perché vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’eternità».

La consolante certezza

E’ la “consolante certezza” arriva dopo che Francesco dice di aver «letto con emozione queste pagine uscite dal pensiero e dall’affetto di Angelo Scola, caro fratello nell’episcopato e persona che ha rivestito servizi delicati nella Chiesa, ad esempio nell’essere stato rettore della Pontificia Università Lateranense, in seguito patriarca di Venezia e arcivescovo di Milano. Già nella scelta della parola con cui si auto-definisce, ‘vecchio’, trovo una consonanza con l’autore», scrive ancora del cardinale Scola, che tra l’altro fu il suo rivale nel Conclave del 2013, quello della propria elezione a Papa. «Sì, non dobbiamo aver paura della vecchiaia, non dobbiamo temere di abbracciare il diventare vecchi, perché la vita è la vita ed edulcorare la realtà significa tradire la verità delle cose».

La parola “vecchio”

Secondo il Pontefice scomparso, «restituire fierezza a un termine troppo spesso considerato malsano è un gesto di cui esser grati al cardinale Scola. Perché dire ‘vecchio’ non vuol dire ‘da buttare’, come talvolta una degradata cultura dello scarto porta a pensare. Dire vecchio, invece, significa dire esperienza, saggezza, sapienza, discernimento, ponderatezza, ascolto, lentezza… Valori di cui abbiamo estremamente bisogno!», aggiunge. «È vero, si diventa vecchi, ma non è questo il problema: il problema è come si diventa vecchi. Se si vive questo tempo della vita come una grazia, e non con risentimento; se si accoglie il tempo (anche lungo) in cui sperimentiamo forze ridotte, la fatica del corpo che aumenta, i riflessi non più uguali a quelli della nostra giovinezza, con un senso di gratitudine e di riconoscenza, ebbene, anche la vecchiaia diventa un’età della vita, come ci ha insegnato Romano Guardini, davvero feconda e che può irradiare del bene».

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