Il ricordo del «coinquilino» del Papa, don Tino Scotti: i regali di compleanno a suore e guardie, i rimproveri ai preti e le battute


Monsignor Tino Scotti ha alle spalle 70 anni di vita, 31 in Vaticano come capoufficio della Prima Sezione della Segreteria di Stato, e 8 accanto a Bergoglio. Definito in modo semplicistico il «coinquilino» di Papa Francesco, ora si lascia andare nel racconto di qualche curiosità sulla vita quotidiana del pontefice defunto. «Nacque tutto perché lui decise di restare a vivere a Santa Marta, dove io ero cappellano delle suore e alle 7 celebravo messa nella cappella. Abbiamo iniziato a celebrare insieme. Poi un po’ alla volta ho cominciato ad andare da lui ogni sera dalle 16 alle 20», inizia a spiegare Don Scotti a colloquio con Fabio Paravisi del Corriere di Bergamo. Lo ricorda come un uomo attento e vicino alle persone comuni: «Arrivava il mattino con una bottiglia o una marmellata per una guardia o una suora che compivano gli anni. Godeva un mondo quando poteva incontrare la gente comune. Aveva una sacralizzazione del popolo, proprio nel senso della gente, l’ambiente da cui veniva», riferisce.
Papa Francesco e le battute
All’inizio, ammette Scotti, non fu facile avere il Papa come vicino: «La prima messa con noi preti disse: dobbiamo imparare a sopportarci a vicenda. All’inizio era difficile, c’erano le guardie, gli ascensoristi con i guanti bianchi. Ma lui eliminò tutto. Era normale incontrarlo in ascensore e vederlo prendere il prosciutto in mensa». Era «schietto» e – incalza – «gli piaceva la battuta anche se a volte qualcuno si offendeva perché da un Papa non te lo aspetti». Un esempio: «Alle suore che volevano la beatificazione del loro fondatore disse: era bravo ma ha fatto un errore, quello di fondare il vostro istituto».
I rimproveri a chi si distraeva
Era severo, ma giusto. Questo il ritratto che Don Tino Scotti restituisce. Se uno in chiesa si distraeva, lo richiamava: «Se non le interessa se ne vada». Alla domanda se Bergoglio sentisse l’ostilità dei tradizionalisti, monsignor risponde: «Non gli dava peso. Era vaccinato, avendo vissuto come provinciale dei gesuiti durante la dittatura argentina. Una volta incontrò i lefebvriani della San Pio X e disse: il problema di questi non è eccesiologico, ma psicologico. Aveva una spiritualità profondissima. Aveva una devozione popolare. Era un progressista legato alla tradizione. È stato coerente fino alla fine».