Addio Stati Uniti, la rivista Nature: «Il 32% degli scienziati sta cercando di lasciare il Paese dopo i tagli di Trump». I cervelli ora guardano altrove


Di scienziati e ricercatori con le valigie pronte negli Stati Uniti se ne possono trovare a centinaia. Il presidente americano Donald Trump ha deciso non per il bisturi, ma per l’ascia andando a tranciare di netto centinaia di programmi federali di finanziamento per la ricerca: dai 400 milioni ritirati alla Columbia University fino agli 800 milioni tolti da sotto il naso alla John Hopkins, che ha dovuto stracciare il contratto a 2mila persone. È solo naturale che, in un momento di crisi per la scienza a stelle e strisce, gli occhi degli scienziati sia rivolto oltreoceano. E in particolare in Europa e in Cina, che rispetto a un anno fa hanno registrato un aumento delle candidature del 32% e del 34% da parte di personale americano. Lo dimostra un’elaborazione di dati pubblicata dalla rivista Nature e basata su sondaggi condotti dalla piattaforma Nature Careers. Ma per raggiungere la nuova meta preferita dei professori statunitensi basta attraversare un sottile confine, quello con il Canada.
La fuga di cervelli dagli Stati Uniti
Sempre più candidati dagli Stati Uniti alle cattedre e ai laboratori non americani: +32% globale tra gennaio e marzo 2025. Un sondaggio separato, condotto dalla National Postdoctoral Association, ha rilevato che il 43% degli intervistati sente minacciato il proprio posto di lavoro e che il 35% sente la propria ricerca in ritardo o fortemente a rischio. In patria, l’amministrazione Trump ha di fatto congelato la ricerca scientifica annunciando – e mettendo in pratica – una intensissima politica di tagli ai finanziamenti per molti progetti, inclusi quelli sull’Aids e sul Covid.

nuova amministrazione Trump (fonte: Nature)
L’Europa e le politiche per attrarre i cervelli americani
La meta preferita dagli scienziati americani, forse per prossimità geografica, è il Canada. Rispetto a dodici mesi fa, in direzione del Paese della foglia d’acero si registra un aumento delle candidature del +41%, contro il -13% in direzione opposta. Il più grande «deficit scientifico», però, Washington lo paga con l’Europa: +32% di interessati americani a volare nel Vecchio Continente, -41% di europei disposti a fare la tratta inversa. Merito anche di numerose politiche messe in atto da alcuni atenei europei e che mirano proprio ad attirare i cervelli americani. È il caso, ad esempio, dell’università di Aix-Marseille in Francia, che ha stanziato circa 15 milioni di euro per aprire 15 nuove posizioni per ricercatori – esplicitamente americani licenziati o bloccati nel loro lavoro dalla Casa Bianca – nell’ambito di clima, salute, ambiente e scienze sociali. L’istituzione francese avrebbe già ricevuto 298 candidature.
La Cina e il «recruiting» sui social
Dove non arriva l’Europa, però, arriva l’Asia. In particolare la Cina, che è guardata con favore da molti ricercatori e ha registrato un aumento di domanda del +34%. Anche qui le università hanno colto la palla al balzo, iniziando a pubblicare sui social media raffiche di annunci rivolti a scienziati statunitensi licenziati. Ed esortandoli a «proseguire la loro carriera e intraprendere un’attività imprenditoriale» in Cina.