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Roma, i ricordi e le notti brave. Il nuovo disco di Carl Brave: «È la mia liberazione personale» – L’intervista

27 Aprile 2025 - 11:34 Gabriele Fazio
Il 25 aprile è uscito «Notti brave amarcord», un disco che guarda dichiaratamente al passato con Roma, come al solito, a fare da scenografia

Il titolo del terzo album di Carl Brave non poteva essere diverso: Notti brave amarcord. Un disco che, forte di dell’esperienza accumulata in questi anni, specialmente in termini di sonorità, guarda al passato. Così le Notti brave del primo album (2018), sono rispolverate con la nostalgia e il romanticismo di chi le vede ormai alle spalle, come un amarcord, appunto, assai intimo e sincero, in cui niente viene negato all’ascoltatore. I brani sono pieni di immagini, ascoltarli è come sfogliare l’album dei ricordi di Carlo Coraggio, 35 anni, nato in quella Roma che fa di nuovo da scenografia alle sue storie e che viene celebrata da lui come pochi riescono a fare oggi. Lo abbiamo intervistato.

Credi che in questo disco si centri definitivamente lo stile Carl Brave?

«Si tratta di un disco che parla di me, quindi sicuramente è un cerchio che si chiude…o si apre!»

Anche per questo sei tornato alle Notti Brave, titolo del tuo primo album solista?

«Sì, volevo trovare qualcosa di nuovo rimanendo fedele a me stesso, ho voluto fare un disco molto autobiografico che parlasse di me e che mi ricordasse anche un po’ la mia vita. Tra l’altro io non penso mai al passato, sono uno che vive molto il presente e le cose che devo fare. Questa roba mi ha portato pure a pensare un po’ a me, a quello che ho fatto, a come l’ho fatto, come sono diventato»

Questo disco cosa racconta di Carl Brave?

«Racconta un po’ tutto, a 360 gradi, per quanto ho potuto scrivere in 13 pezzi. Racconta l’inizio, il pre Carl Brave, racconta Carlo Luigi Coraggio, le difficoltà che ho avuto nell’arrivare a quello che vivo adesso»

Hai scelto una prospettiva diversa…

«Ho voluto raccontare tutto in maniera molto schietta e molto personale. Solitamente sono io che descrivo l’immagine all’ascoltatore, invece qua chiedo all’ascoltatore di venire da me, di vedere come sono io, quello che ho fatto. Ci stanno tante immagini, parlo di alcuni personaggi che uno non conosce, chiamandoli per nome, e chiedo – proprio come in un libro – di vederli, di capirli anche se non sai chi sono»

Nel disco infatti riesci a ridurre Roma a una dimensione quasi da piccola provincia…

«Roma è molto provinciale, è suddivisa in paesini. Trastevere è diverso da Testaccio, Testaccio è diverso da San Giovanni, da Fleming, da Parioli…»

Anche se è un disco carico di ricordi, di nostalgia, è prodotto in maniera molto fresca.

«Di solito tendo a pompare, a fare Tetris con tanti suoni. Stavolta ho voluto essere molto minimale. Pochissimi suoni, la maggior parte in reverse, perché è un disco che deve guardare al passato, quindi va tutto all’indietro»

C’è anche un’inclinazione molto più rap…

«C’è molto rap. Le batterie sono tutte rap, tutte boom bap. Sono voluto un po’ tornare al vecchio me. Io sono cresciuto con il rap, quindi volevo dare un po’ quell’immaginario là»

Come mai hai sentito il bisogno di fare un disco così nostalgico?

«È venuto da solo, non ci ho pensato. Cerco sempre di portare qualcosa di nuovo, sempre nel mio stile però cercando nuove sonorità. È stato così per Notti Brave, Polaroid, Sotto Cassa, Coraggio, Migrazione…In questo caso ho capito che dovevo cercare nel mio passato, dentro me stesso. E di base è stato semplicemente un ricordarmi del mio vissuto, i testi sono usciti veramente di getto, la roba più pensata sono state le basi»

È un album senza featuring.

«Sì, questo è un disco che parla di me, col mio linguaggio, quindi un feat avrebbe rovinato le cose. Come se un capitolo di un libro fosse scritto da un’altra persona…non ci sta. Volevo tenere questo quadro perfettamente mio»

Ti sei concesso solo un brano insieme a Sarah Toscano, ma è un side project fuori dalla narrazione del disco, no?

«Esatto, è fuori dal disco, nel disco fisico non c’è quel pezzo, che è un singolone spensierato. Questo disco non ha quella roba: è un disco in bianco e nero mentre la canzone con Sarah è roba più spensierata, stile Makumba, molto estiva, spensierata, solare, colori che il disco non ha»

La scenografia del tuo album è Roma. Come hai visto cambiare la città nel tempo?

«Secondo me la città non è cambiata, cambiano le persone. Io sono cambiato, molte delle cose che racconto nel disco non le faccio più ma di base la città è quella. Lo dico proprio nell’ultimo pezzo: la piazza resta sempre la stessa, solo che ci sta gente diversa, quindi io passo davanti al Callisto e lo trovo uguale a come era quando c’eravamo noi: ci stanno nuovi pischelli che vivono le stesse cose, si bevono il birra e fanno i danni. Non ci sto io, io sono cambiato»

Se tu avessi il potere di cambiare una cosa di Roma, quale sarebbe?

«Il traffico, quello non cambia mai»

Ma è ancora una città romantica, Roma?

«È straromantica, ma solo per la bellezza della città, dei luoghi dove vai. Ti giri da una parte: bellissimo, scioccato. Ti giri dall’altra: bam, scioccato. Vai dritto: bam, scioccato. Poi la luce, questo giallone romano è stupendo. È una città iper romantica, ma non romantica d’amore, è romantica proprio l’atmosfera»

Il disco è uscito il 25 aprile, che è una data molto importante per il nostro Paese…è una casualità discografica?

«Sì, in realtà è una casualità discografica, però questo disco lo vedo un po’ pure come la mia di Liberazione personale. Un ritorno, un riconoscersi, un pensare al passato. Insomma: effettivamente ci sta bene. Però, ti dico la verità, è un caso»

Il successo di Lucio Corsi a Sanremo, il ritorno de I Cani con un disco, ultimamente in Italia si è manifestato un nuovo interesse per la scena indipendente da cui, nonostante facessi rap, sei venuto fuori anche tu. Molti in rete a questo punto sperano anche che tu e Franco126 torniate a lavorare insieme…

«Chi lo sa, mai dire mai»

Lo hai ascoltato il suo disco?

«Sì, sì, certo, l’ho sentito ed è bello come tutti i suoi dischi. Con lui ci siamo pure rivisti una volta, al concerto di Gemello, e ci siamo parlati un po’. Chi lo sa cosa può succedere? Sicuramente però il momento non sarebbe adesso. In futuro, chi lo sa? Mai dire mai»

Ora che con questo disco hai risolto un po’ il tuo passato, hai già pensato a come continuerà questa storia?

«Dico la verità, non saprei. Adesso sto lavorando a tanta roba elettronica, sto un po’ sperimentando. Io sono così, non mi fermo mai. Vediamo che cosa mi uscirà»

Cosa ti piacerebbe che rimanesse di questo disco in chi lo ascolta?

«Innanzitutto mi piacerebbe che questo disco fosse ascoltato più e più volte perché merita tanti ascolti per capirlo bene. Quindi devi dargli un po’ di focus stile old school, quando uscivano poche robe e tu ascoltavi un disco, solo quel disco, per una settimana, due settimane. Perché veramente in ogni barra, ogni battuta, c’è un’immagine diversa, ho cercato di mettere dentro tantissima roba. Se gli dai un ascolto volante non ti arriva quello che ho voluto mettere. Vorrei che arrivasse la sincerità del disco»

È questo il disco che consiglieresti a chi non conosce Carl Brave?

«Sì, perché ho raccontato quello che sono, come prima, ma magari con un po’ di esperienza in più. Sono riuscito a fare una roba sia pensata che di cuore, testa e cuore insieme»

Ci vuole ottimismo a pensare che il pubblico riesca ad ascoltare un disco dall’inizio alla fine…

«La cosa che mi è piaciuta di più di questo lavoro è che io me ne sono strafregato, sono andato proprio in controtendenza. Non mi sono imposto regole, come succede quando inizi: non ce le hai perché non le sai. Stavolta le sapevo, ma me ne sono fregato»

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