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Insulti a Liliana Segre, il gip di Milano ordina nuove indagini: «Accusarla di nazismo è uno sfregio alla verità oggettiva»

28 Aprile 2025 - 12:26 Alba Romano
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Il giudice iscrive nove persone nel registro degli indagati e ordina ai pm di svolgere nuovi accertamenti. Resta l'archiviazione per Chef Rubio

Proseguono le indagini per diffamazione, con l’aggravante della discriminazione dell’odio razziale, per gli insulti social nei confronti di Liliana Segre. Il gip di Milano, Alberto Carboni, ha ordinato alla procura di andare avanti con le indagini e identificare con nuovi accertamenti i titolari di 86 account finiti al centro dell’inchiesta. Lo stesso giudice ha iscritto nove persone nel registro degli indagati, mentre per altri sette è stata disposta l’imputazione coatta. Nelle scorse settimane, la procura del capoluogo lombardo aveva chiesto l’archiviazione per diciassette persone, compreso Chef Rubio. Tra le nove persone iscritte oggi nel registro degli indagati c’è anche Nicola Barreca, che nel 2023 figurava come segretario cittadino della Lega a Reggio Calabria.

Le indagini della procura di Milano

«Nel 90 per cento dei casi gli insulti che Segre riceve sono nazisti. È questo il punto, non sono insulti alla sua veneranda età o alle sue posizioni politiche, ma sono insulti nazisti», aveva spiegato l’avvocato Vincenzo Saponara, legale della senatrice a vita e sopravvissuta alla Shoah. Lo scorso gennaio, il pm aveva chiuso le indagini per la richiesta di rinvio a giudizio solo nei confronti di dodici persone, tra cui No vax e Pro Pal, anche residenti all’estero. L’accusa nei loro confronti era di diffamazione e minacce online, con l’aggravante della discriminazione dell’odio razziale. Oggi, il gip ha ordinato alla procura di andare avanti con le indagini e svolgere nuovi accertamenti su oltre ottanta account social.

«Accusare Segre di nazismo è uno sfregio alla verità»

Nell’ordinanza con cui impone alla procura di andare avanti con le indagini, il gip Alberto Carboni scrive che accusare di nazismo «una reduce dai campi di sterminio integra di per sé» il reato di diffamazione, ma è anche «uno sfregio alla verità oggettiva» e «la più infamante delle offese per la reputazione di chi ha speso la propria vita per testimoniare gli orrori del regime e per coltivare la memoria dell’olocausto». Il web, scrive ancora il giudice per le indagini preliminari, non può essere una zona franca.

Foto copertina: ANSA/Mourad Balti Touati | La senatrice Liliana Segre durante un convegno al Memoriale della Shoah a Milano, 3 marzo 2025

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