Dal faraone ai big data: cosa ho imparato dell’arte girando per il Piemonte – seconda puntata
Per questa seconda puntata di Crossroads (se ti sei perso la prima sull’enogastronomia puoi rivederla qua), la nostra serie dedicata agli incontri e scontri di cultura nelle regioni italiane, vogliamo partire dalle grandi domande.
Cos’è l’arte contemporanea? Dove si sposano arte e scienza? Dove si mescolano l’oggetto e l’idea? Dove si incontrano l’artista e il pubblico?
Abbiamo cercato risposte in giro per il Piemonte,visitando Torino e Biella che uniscono passato e futuro nel loro primato di città di arte e cultura.
Siamo partiti da una delle più importanti fiere internazionali d’arte contemporanea e - passando per la casa di un artista che ha fatto dell’arte uno strumento di indagine collettivo e personale – abbiamo compiuto un salto all’indietro nel tempo di 4000 anni.
«L’uomo fin dalle prime opere - penso alle grotte di Lascaux - decide di raccontare storie perché sono un modo per poter affrontare, comprendere, e interagire con una vita che gli è fondamentalmente ignota»
1. QUINDI, COS’È L’ARTE CONTEMPORANEA?
Partiamo da zero. Ho rivolto le mie domande sull’arte contemporanea, anche quelle più banali a Ilaria Bonacossa, la curatrice e direttrice di Artissima, a Torino.
Sono andata da lei perché Artissima è l’unica fiera in Italia dedicata interamente all’arte contemporanea, esiste da 27 anni ed è un’eccellenza internazionale che riunisce gallerie di tutto il mondo per trattare temi attuali che coinvolgono tutti, anche i non esperti. L’edizione di quest’anno diventa “unplugged” e sarà tutta digital, con un programma che si estende sino al 9 dicembre.
Abbiamo parlato di come cambiano continuamente i temi che vengono affrontati, di cosa è l’arte contemporanea, perché costa così tanto e perché ogni tanto pensiamo: “avrei potuto farlo anche io”.
Il tema della mostra quest’anno è "Stasi Frenetica", e Bonacossa ha scelto personalmente quali opere presentare. «Il concetto nasce dalla filosofia politica: la modernità porta ad accelerare i tempi della politica stessa, ad agire subito senza che le azioni riescano ad avere effetti a lungo termine. Questa è una cosa tipica della nostra società, ed è alla base della crisi che stiamo vivendo», mi spiega Bonacossa.
«Il tema di Artissima è stato deciso a Dicembre 2019. Ovviamente nessuno si aspettava di vivere chiusi in casa. Quindi ora "Stasi Frenetica" si è trasformato in una metafora della nostra vita. Il tema si è rivelato più attuale di quanto immaginavamo»
Ho incontrato Bonacossa alla Galleria D’Arte Moderna e Contemporanea a Torino, dove mi ha mostrato alcune delle installazioni selezionate. “Quest’anno la situazione sanitaria ha reso l’idea di una fiera di 7 mila persone impossibile, quindi abbiamo deciso di presentare solo alcune opere in tre spazi museali di Torino (GAM, MAO e Palazzo Madama) come mostra corale,” mi spiega Bonacossa. Ora è anche disponibile Artissima XYZ, un’inedita piattaforma cross-mediale che trasforma le sezioni curate della fiera in un’immersiva esperienza digitale.
Artissima ha anche lanciato Art Mapping, progetto nato per avvicinare le persone all’arte contemporanea proponendola al di fuori dai percorsi artistici tradizionali.
Bonacossa mi ricorda che molte zone del Piemonte - dalle Langhe al Monferrato - vengono visitate ogni anno da migliaia di turisti per le eccellenze enogastronomiche che propongono, ed è proprio in questi luoghi - collettivi e aperti - che hanno deciso di portare le opere artistiche. Art Mapping dunque ha realizzato tre installazioni site-specific e una mappatura (che trovi sempre sul sito di artissima.art) delle più significative opere di arte pubblica del territorio, sono tantissime.
The Elegy of Whiteness di Mario Airò inaugurato nel 2019 nella chiesa sconsacrata di San Remigio a Parodi, Alessandria.
Questa invece è Griglie D’oro, alla Torre dell’acqua di Novello, dell’artista Olivier Mosset. “Un leggero intervento, minimo e poetico, volto a enfatizzare l’importanza di queste architetture per il territorio dove si produce il Barolo.”
CNTR di Roberto Coda Zabetta presso Wine Experience a Priocca. “Un’installazione lunga cinquanta metri, costituita da migliaia di assi verticali, tutte diverse tra loro: una bandiera simbolo di rinascita, forza e continuità.”
2. COSA VUOL DIRE ESSERE ARTISTA?
L’arte contemporanea resta un'incognita, specialmente quando si tratta del mestiere (e la vocazione) dell’artista. Cosa fa un artista e quando è giusto definirsi tale? Cosa c’entro io - che non ho mai fatto arte nella mia vita - con tutto questo?
Lo abbiamo chiesto al biellese Michelangelo Pistoletto, uno dei più grandi artisti viventi, protagonista della corrente dell’Arte Povera: un’arte che mira a tornare a tecniche semplici per diffondere concetti importanti e complessi.
«Per me l’arte contemporanea è nata negli anni Cinquanta perché l’ho conosciuta allora. In quel periodo nasce la massima autonomia dell’artista, che smette di rappresentare tutto quello che era religioso, politico, culturale, per concentrarsi sull’espressione individuale, personale, soggettiva», mi spiega Pistoletto.
Per parlarne, ci siamo incontrati nella sua casa/studio a Biella, al centro di Cittadellarte, fondazione da lui creata nel 1998 per avvicinare i cittadini all’arte. Il nome Cittadellarte nasce proprio dal connubio di città - che vuol dire estensione, relazione interpersonale - e cittadella, che simboleggia la protezione, la tutela. Con questo progetto Pistoletto ha contribuito a portare Biella al centro della scena dell'arte contemporanea Italiana.
«L'artista assumeva la massima libertà e quindi la responsabilità totale».
«Sono responsabile di tutto quello che creo: l’arte mi dà la possibilità di indagare, di conoscere», dice Pistoletto, spiegando quanto sia importante riuscire a trasmettere agli altri questa ricerca di significato. Unire società e arte in tutti i modi possibili. «Siamo tutti naturalmente creativi. Se non siamo consapevoli di questo, non riusciremo mai a comprendere la libertà e la responsabilità tipiche dell’artista».
Ho fatto a Pistoletto le nostre canoniche 25 domande, ma questa volta davanti a uno specchio come se le facesse a se stesso. Pistoletto lavora con gli specchi da quando ha iniziato a fare arte. Mi spiega: «L’unico modo per conoscersi è guardarsi nello specchio. Se non ci si guarda nello specchio non ci si conosce: l'autoritratto è il luogo della ricerca dell'identità. Non vedo solo me nello specchio, ma è grazie allo specchio che mi vedo. E contemporaneamente vedo il mondo e lo specchio stesso. E’ così che è iniziato il mio percorso – attraverso l’arte - verso uno sguardo attivo della società».
3. MA PERCHÉ DOVREBBE IMPORTARMENE QUALCOSA?
La missione di fondazioni come quella di Pistoletto è simile a quella di altre istituzioni che decidono di investire nell’arte contemporanea e nell’arte pubblica per renderle accessibili a tutti. Sono questi laboratori che aiutano a farci capire perché dovrebbe importarci qualcosa dell’arte e, soprattutto, come fare ad aumentare il nostro interesse.
Ne ho parlato proprio con Massimo Lapucci, segretario generale della Fondazione CRT, un’istituzione di origine bancaria non-profit che si occupa dello sviluppo del Piemonte. Ci siamo incontrati alle OGR di Torino, le Officine Grandi Riparazioni. Quello che una volta era un complesso industriale per la riparazione dei treni, è oggi uno spazio che salvaguarda la cultura contemporanea e sostiene l’innovazione e l'accelerazione d'impresa.
Lapucci mi ha invitato alla mostra allestita alle OGR, dedicata a Trevor Paglen, artista d’arte contemporanea americano il cui lavoro affronta il tema della sorveglianza di massa. Abbiamo parlato di come l’arte contemporanea diventi sempre più interdisciplinare e dell’intersezione tra arte e scienza. Per avvicinare il pubblico all’arte – mi spiega - bisogna ricordarsi che può essere come una lingua straniera: bisogna almeno prima imparare l’alfabeto per provare a comprenderla.
«Le fondazioni come la nostra svolgono un ruolo di sostegno in diversi ambiti e a favore di soggetti che creano arte cultura, ma sono anche attivi nel sociale, nella protezione dell’ambiente e nell’innovazione. Mettiamo a disposizione delle risorse, lavorando molto per lo sviluppo del capitale umano. Le fondazioni hanno il compito fondamentale di affiancare le istituzioni e aiutarle a sviluppare le passioni delle persone», dice Lapucci.
4. PERCHÉ SONO COSÌ IMPORTANTI GLI OGGETTI?
L’arte contemporanea ci racconta storie con la semplicità delle cose fisiche: dietro a ciascun oggetto si nascondono moltissimi racconti. Tutte le opere contengono una moltitudine di concetti e significati che arrivano dall’artista ma anche dall’osservatore.
Per affrontare meglio questo tema abbiamo cercato le risposte nei primi esempi di arte dell'umanità, per vedere se è cambiato qualcosa nel tempo. Abbiamo chiesto aiuto a due esperti del Museo Egizio di Torino, il più importante luogo dedicato all’arte egizia in Europa.
«La materialità è un ponte che ci collega a chi ha creato quegli oggetti, oggi come quattromila anni fa. E’ analizzando la materialità che ci accorgiamo che una civiltà così antica ha molto più a che fare con il nostro presente di quanto possiamo immaginarci», mi dice Enrico Ferraris, da 7 anni curatore presso il Museo Egizio di Torino.
«L’uomo fin dalle prime opere - penso alle grotte di Lascaux - decide di raccontare storie perché sono un modo per poter affrontare, comprendere, e interagire con una vita che gli è fondamentalmente ignota», spiega Ferraris.
Per il curatore, una visita al Museo Egizio è un esercizio per comprendere la diversità culturale ma anche la propria identità: una ricerca profonda che – come raccontava Pistoletto – si ritrova anche nell’arte contemporanea.
“I musei siamo noi”: per capire meglio questa affermazione e comprendere come i musei si stanno trasformando abbiamo intervistato Elisabetta Rattalino, Segretario Generale di Fondazione Torino Musei.
Per meglio comprendere le connessioni della storia umana, ancora una volta ci affidiamo all’intersezione tra scienza e arte, idea e oggetto, pubblico e artista.
«I musei sono spazi che riflettono la nostra stessa curiosità. Il Museo Egizio è un ente di ricerca e quindi è nostra intenzione usare qualunque disciplina per osservare questi oggetti da angolazioni nuove, che ancora non avevamo pensato. Stiamo perciò avendo a che fare con chimici, fisici, persino neuroscienziati», mi spiega Ferraris. E conclude: «I musei siamo noi: sono i nostri strumenti per guardare ogni giorno il mondo con occhi diversi». Cominciamo?
Durante la nostra visita al Museo Egizio abbiamo parlato anche con David Buti, ricercatore dell’ISPC (Istituto Scienze per il Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche). Buti lavora per il Museo Egizio con un team multi-sede (tra Milano, Firenze, Perugia) e con un laboratorio mobile: il MoLab. Le strumentazioni che usano sono un po’ come delle radio: in base alla modulazione delle frequenze, si sintonizzano su diversi canali, classica, rock, radiogiornale…ma, in questo caso, sono “frequenze di luce”. «Una volta che conosciamo la composizione, possiamo sfruttare queste informazioni in accordo con gli archeologi e con gli studiosi per interpretare i dati. In questi casi si vede come il connubio tra la parte scientifica e quella artistica e archeologica sia essenziale», mi spiega Buti.
Supervision: Francesca Simili.
Production: Sofia Quaglia.
Research, reporting and writing: Sofia Quaglia.
Video shooting and editing: Sofia Quaglia.