Viaggio nella disabilità sensoriale
In
tutti
i
sensi
Identità, bisogni e sfide delle persone con sordocecità In collaborazione con Lega del Filo d'Oro
Introduzione
In Italia oltre 360 mila persone sono affette da limitazioni sensoriali gravi e plurime alla vista e all’udito. Di loro, però, si parla poco. Chi sono?
Identità
Episodio 01
Quello delle persone sordocieche non è
un mondo uniforme, ma popolato da una pluralità di condizioni, bisogni e possibilità
Vedere, sentire. Il 95% di ciò che la mente umana apprende nel corso della vita passa attraverso i due sensi di vista e udito: la capacità di comunicare, di costruire relazioni sociali, l’autonomia personale, la percezione dell’ambiente circostante. Quando mancano vista e udito, o sono compromessi, tutto questo viene fortemente limitato. E il rischio è l’isolamento, anche dagli affetti.
In Italia, secondo un’indagine condotta dall’Istat, ci sono 100mila persone sopra i 15 anni con limitazioni sensoriali alla vista e all’udito. Il 67,6% è donna, il 61% ha oltre 65 anni di età. A queste, se ne aggiungono altre 262mila che, oltre a gravi problemi visivi e uditivi, hanno contemporaneamente disabilità di tipo motorio.
Una fascia di popolazione di oltre 360mila persone di cui si parla molto poco e fortemente sottovalutata in termini numerici. E che rappresenta, peraltro, una stima al ribasso perché non comprende i minori al di sotto dei 15 anni e coloro che hanno anche una disabilità intellettiva. In quest’ultimo caso, quando al deficit visivo e uditivo si aggiungono altre disabilità (danni neurologici, malformazioni scheletriche o cardiovascolari) si parla di “pluridisabilità psicosensoriale”.
In Europa, il numero di coloro che oltre alle limitazioni sensoriali gravi plurime legate alla vista e all’udito presentano contemporaneamente disabilità di tipo motorio arriva a oltre 1 milione e 400mila, pari allo 0,3% della popolazione.
Tra le persone con limitazioni sensoriali alla vista e all’udito, solo una persona su quattro vive da sola.
Nonostante i numeri, la conoscenza di questo mondo è molto scarsa. Solo un italiano su tre sa che la sordocecità non comprende solo la mancanza, parziale o totale, di vista e udito assieme, ma spesso è associata a una condizione di pluridisabilità grave. Appena uno su dieci è a conoscenza del fatto che essere una persona sordocieca comporta molte volte anche una disabilità intellettiva, accompagnata anche da altre di tipo motorio.
L’inclusione lontana
Guardando i dati del “Nuovo studio sulla popolazione di persone sordocieche, con disabilità sensoriali e plurime in condizioni di gravità” condotta dall’Istat per Lega del Filo d'Oro, la piena inclusione sociale delle persone sordocieche sembra ancora lontana. La ricerca segue la classificazione internazionale ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health), che considera la disabilità come il risultato dell'interazione negativa tra la persona e l'ambiente, fisico e culturale in cui vive, così come sancito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.
Dallo studio emerge come le famiglie continuino a costruire “la rete di aiuti per far fronte alle carenze di un sistema di welfare con scarse risorse economiche, molto incentrato sui trasferimenti monetari e poco sui servizi alla persona”. In prospettiva, “la rarefazione delle reti familiari e il progressivo invecchiamento della popolazione rischiano di mettere in crisi la sostenibilità di questo modello di welfare”.
La maggior parte di coloro che hanno limitazioni sensoriali alla vista e all’udito ha titoli di studio più bassi rispetto al resto della popolazione: circa una persona su due ha solo la licenza elementare. Quanto alle condizioni economiche e lavorative, il 18% si colloca tra le fasce più povere della popolazione; solo il 26% dice di essere occupato e il 6% si dichiara inabile al lavoro.
Gli anziani sono la categoria in cui la disabilità sensoriale incide maggiormente sull’autonomia quotidiana. Tra le persone sordocieche che hanno più di 65 anni, il 43,5% ha difficoltà gravi nelle attività domestiche. Quasi quattro persone su dieci denunciano una mancanza di aiuto.
La situazione si aggrava per quelle persone sordocieche che hanno anche problemi motori (nel 73% donne), la cui quasi totalità è costituita da over 65. Tra queste, il 43% vive da sola e quasi l’85% ha solo la licenza elementare. Il 27,5% è nelle fasce più povere di reddito, l'11,1% dichiara di essere inabile al lavoro. Tra gli anziani, oltre sette persone su dieci presentano gravi difficoltà nelle attività domestiche o di cura personale.
Uno studio Istat per Lega del Filo d’Oro del 2015 rilevava come per le persone sordocieche sopra i 15 anni fosse difficoltoso l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblici (88,3%), l’accesso agli edifici come ospedali o scuole (85%), o anche semplicemente uscire di casa (86,7%). Mancano ausili come ad esempio rampe di accesso per autobus, mezzi con spazi adeguati per la sedia a rotelle, annunci vocali di fermata e di numero di linea. Circa due terzi delle persone sordocieche dichiarava difficoltà ad incontrare amici o parenti, il 78,7% ad occuparsi dei propri interessi o a partecipare ad eventi culturali. Il 93,1% trovava ostacoli a utilizzare internet.
Un mondo variegato
Quello delle persone sordocieche, comunque, non è un mondo uniforme, ma popolato da una pluralità di condizioni differenti, diversi bisogni e possibilità. «Credo sia importante fare innanzitutto una distinzione tra chi nasce sordocieco e chi lo diventa», spiega Rossano Bartoli, Presidente della Lega del Filo d’Oro, Fondazione che da 60 anni si occupa di fornire assistenza e riabilitazione alle persone sordocieche e con pluridisabilità psicosensoriale e di portarne le istanze all’attenzione dell’opinione pubblica.
Solo il 14% delle persone sordocieche sono nate con questa disabilità o l’hanno acquisita nei primissimi anni di vita. L’86% lo è diventato nel corso del tempo o in età anziana, perché ad esempio è nato sordo e ha perso la vista o viceversa, il che aggiunge una fortissima componente psicologica.
«La persona che diventa sordocieca a una certa età deve essere sicuramente aiutata ad accettare la nuova realtà», aggiunge Bartoli. Oltre a questo, l’essere nati sordociechi o aver sviluppato la disabilità successivamente incide anche sul livello di autonomia. «Se in precedenza quella persona non aveva problemi sensoriali, oppure era solo non vedente e poi è diventata anche sorda o viceversa, avrà sicuramente un’esperienza di vita, delle conoscenze, un’istruzione. E dunque siamo di fronte a persone che hanno dei bisogni molto rilevanti, che necessitano di supporto, ma che possono esprimere un'autonomia e mantenere in alcuni casi anche la possibilità di lavorare», afferma il Presidente della Lega del Filo d’Oro, che ricorda come tra le persone seguite negli anni dall’Ente ci siano persone sordocieche che hanno raggiunto traguardi accademici e professionali: «C’è chi si è laureato in giurisprudenza, un ragazzo a Napoli ha superato l’esame per diventare giornalista professionista. Esiste dunque una popolazione, probabilmente contenuta, che ha potenzialità e capacità diverse rispetto a chi nasce con limitazioni a vista e udito».
Un discorso diverso riguarda invece i bambini che vengono al mondo con limitazioni sensoriali alla vista e all’udito, che molto spesso presentano contemporaneamente diversi problemi di salute.
«Ultimamente, la metà dei bambini e adulti che arrivano nel nostro Centro Nazionale di Osimo ha anche disabilità gravi dal punto di vista motorio, problemi di epilessia, cardiaci e anni fa non avevano possibilità di sopravvivenza», dice il Presidente. Con i progressi della medicina, la loro aspettativa di vita si è decisamente allungata, ma già dai primi mesi iniziano a presentare problemi e patologie che necessitano di un alto livello di assistenza.
«Sono situazioni molto complesse per le quali è indispensabile una valutazione iniziale fatta da esperti per cogliere quali sono le possibilità e dove lavorare dal punto di vista di un progetto educativo-riabilitativo personalizzato. E comunque parliamo di persone che hanno la necessità di essere aiutate sicuramente per tutta la vita», precisa Bartoli.
Il supporto dato dalla Lega del Filo d’Oro nei Centri e nelle Sedi Territoriali presenti in undici regioni riguarda per forza di cose anche le famiglie. Il Presidente racconta che la loro presenza è fondamentale, ma che è importante che venga accolta nel modo giusto. «Anche la famiglia deve accettare la realtà con cui si sta confrontando, imparando a concentrarsi su cosa il proprio figlio potrà fare invece che solo sulle problematiche».
Uniformità dei servizi
Un limite all’inclusione sociale, educativa e lavorativa delle persone con sordocecità riguarda la mancanza di uniformità dei servizi nelle regioni italiane. «In Italia abbiamo un sistema che ha attribuito competenze a livello regionale che spesso non garantiscono livelli assistenziali, riabilitativi e scolastici uniformi. In alcuni luoghi ci sono una serie di servizi diffusi sul territorio, seppur non sempre all’altezza, in altri c'è una situazione completamente diversa. Ecco, questo non dovrebbe più avvenire, dovrebbe esserci uniformità a livello nazionale. E invece è un limite piuttosto importante che non so quando e se sarà superato perché ogni regione, in questo momento, organizza l'accesso ai servizi in base a quello che ritiene sia necessario e in assoluta autonomia», sottolinea Bartoli.
Il livello dei servizi deve essere non solo uniforme, ma anche adeguato. «Quando pensiamo a una persona sordocieca dobbiamo sempre ricordarci che per essere connessa col mondo esterno ha bisogno del contatto», spiega il Presidente. Nelle strutture residenziali della Lega del Filo d’Oro, infatti, c’è un rapporto operatore/utente che arriva, in alcuni casi, fino a 2,4 operatori per ogni ospite.
Un altro esempio riguarda i servizi scolastici. Quando si parla di bambini con pluridisabilità psicosensoriale e diritto all’istruzione è necessario prevedere la presenza di insegnanti o altre figure vicine con una preparazione adeguata a rispondere concretamente ai bisogni specifici. «Ad esempio, non si può dichiarare di fare l’inclusione in classe se devono intervenire i genitori quando si rende necessario somministrare un farmaco o cambiare un pannolino», afferma il Presidente della Lega del Filo d’Oro. «Noi continuiamo ad essere fermamente ottimisti e sappiamo che piano piano le cose cambieranno. Certo, il ‘piano piano’ può essere accettato più facilmente da chi non vive su di sé la condizione di disabilità».
I passi avanti e quelli ancora
da fare
Grazie al lavoro di organizzazioni come la Lega del Filo d’Oro, negli ultimi anni le istanze delle persone sordocieche e con disabilità plurime hanno trovato più spazio nel dibattito pubblico. Sono stati fatti alcuni progressi, ma molto rimane da fare.
Nel 2021, a dodici anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è stata riconosciuta in Italia la LIS (Lingua dei Segni Italiana), LIST (Lingua dei Segni Italiana Tattile) e la figura dell’interprete quale sostegno fondamentale per la vita delle persone sordocieche. Il nostro paese è stato l’ultimo in Europa a farlo.
Un altro passo avanti riguarda il riconoscimento delle persone sordocieche. Per lungo tempo, la sordocecità è stata considerata a livello istituzionale come la sommatoria delle due diverse patologie – all’udito e alla vista. Solo nel 2004 il Parlamento Europeo ha riconosciuto per la prima volta la sordocecità come disabilità distinta, invitando gli Stati membri a riconoscere la specificità di questa disabilità e a garantire alle persone sordocieche diritti e tutele.
Pochi anni dopo, nel 2010, in Italia è stata approvata la Legge 107 che riconosce la sordocecità come disabilità specifica unica, derivante dalla combinazione della perdita totale o parziale, della vista e dell’udito. Una legge importante, ma la cui attuazione pratica si è rivelata difficile. Un punto critico di questa norma riguardava l’età: la legge prevedeva che si potesse definire sordocieca una persona non vedente che fosse diventata sorda (o viceversa) entro il dodicesimo anno. Erano esclusi sia coloro che, nati senza alcuna disabilità sensoriale, fossero stati colpiti da sordocecità in età successiva o coloro che, nati sordi fossero diventati ciechi (e viceversa) dopo i dodici anni. Una sorta di limbo normativo che negava a queste persone servizi specifici calibrati sui loro bisogni.
A marzo del 2024 il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che modifica la legge 107/2010, riconoscendo la condizione di sordocecità a tutti coloro che manifestano durature compromissioni totali o parziali della vista e dell’udito, congenite o acquisite, a prescindere dall’età di insorgenza.
Per il Presidente Bartoli si è trattato di un bel traguardo, anche perché per anni Lega del Filo d’Oro si è battuta per questo cambiamento, suggerendo la nuova formula. La Fondazione, comunque, continua a sollecitare le Istituzioni sulla legge 107. «A suo tempo è stata approvata dicendo che non avrebbe dovuto comportare oneri aggiuntivi per lo Stato. Una legge che aiuta persone che hanno determinate problematiche ma per definizione non deve costare niente di più allo Stato è una dichiarazione di principio che è un primo passo, ma non risolve i problemi», commenta Bartoli, che però ritiene che in generale si stia percorrendo una “strada giusta”.
L’obiettivo è quello di un futuro senza barriere, in cui il pieno riconoscimento dei diritti delle persone sordocieche e la loro inclusione siano reali. Alcuni punti per raggiungerlo sono contenuti nel Manifesto delle persone sordocieche, presentato a marzo dalla Lega del Filo d’Oro alla Camera dei Deputati. Tra questi, una maggiore presenza degli interpreti nelle strutture pubbliche, l’inclusione scolastica dei bambini e ragazzi sordociechi, la formazione del personale di assistenza nel trasporto pubblico, ferroviario ed aeroportuale. Ma anche lo sviluppo di politiche lavorative davvero inclusive e la promozione dell’accesso allo sport e alla cultura delle persone sordocieche e con disabilità psicosensoriali attraverso l’abbattimento delle barriere fisiche, sensoriali e cognitive.
«Anche in Italia si è preso atto che ci sono delle norme a livello anche internazionale che impongono di usare terminologie un po' più appropriate. La parola handicap è scomparsa, ‘persona con gravissima minorazione’ pure», dice Bartoli. «Si usano termini come ‘persona con disabilità’: si prende atto che queste sono innanzitutto persone e poi dopo si va a guardare tutto il resto».
Manifesto delle persone sordocieche
Un documento in dieci punti per richiamare l’attenzione delle Istituzioni sui diritti di oltre 360mila persone con disabilità sensoriali e plurime alla vista e all’udito e limitazioni di tipo motorio
01
Riconoscere come sordocieche tutte le persone che siano contemporaneamente cieche e sorde, a prescindere dall’età in cui sviluppano tali disabilità, aggiornando la Legge 24 giugno 2010, n. 107.
02
Garantire l’accesso alle prestazioni sanitarie fuori Regione per tutte le persone sordocieche e con disabilità psicosensoriale che abbiano l’esigenza di ricevere cure specialistiche.
03
Promuovere una maggiore presenza della figura degli interpreti LIS e LIST, così come riconosciuta dall’art. 34-ter del Decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, all’interno della pubblica amministrazione, con particolare riguardo per le strutture sanitarie.
04
Promuovere l’inclusione scolastica dei bambini e ragazzi sordociechi e con disabilità psicosensoriale nelle scuole primarie e secondarie, anche attraverso l’adeguata formazione di base di personale e volontari all’uso e alla conoscenza di Braille, LIS, LIST, Haptic e/o il sistema di comunicazione più adatto alle esigenze specifiche della singola persona.
05
Promuovere la mobilità autonoma delle persone sordocieche anche attraverso l’adeguata formazione del personale di assistenza per la comunicazione con le persone con disabilità uditive e visive nel sistema di trasporto pubblico, in particolare ferroviario ed aeroportuale.
06
Promuovere la piena attuazione della c.d. Legge sul Dopo di Noi (Legge 22 giugno 2016, n. 112) per rispondere alle esigenze dei familiari di persone con gravi disabilità, riconoscendo il ruolo del caregiver familiare (art. 1, comma 225 della Legge 27 dicembre 2017, n. 205) favorendone la formazione, il reinserimento lavorativo e il supporto economico.
07
Promuovere lo sviluppo di politiche lavorative inclusive che permettano alle persone sordocieche e con disabilità psicosensoriali di poter svolgere la loro professione in contesti adeguati alla loro condizione.
08
Promuovere forme di housing e cohousing per le esigenze specifiche delle persone sordocieche e garantire forme di assistenza adeguate alle esigenze delle persone anziane, che costituiscono una fascia di popolazione sempre più consistente.
09
Promuovere l’accessibilità dei siti web istituzionali (e non) per le persone con disabilità psicosensoriali, uditive e visive.
10
Promuovere l’accesso allo sport e alla cultura delle persone sordocieche e con disabilità psicosensoriali, e dei loro eventuali accompagnatori, attraverso l’abbattimento delle barriere fisiche, sensoriali e cognitive.
Diventare.
Episodio 02
«La mia identità prima e dopo il bastone». Storia di Virginia e di quel “colore grigio”
che le ha cambiato la vita
Non tutte le persone con sordocecità nascono con entrambe le disabilità. Come Virginia, che ha messo le protesi acustiche a due anni e mezzo e da qualche anno vede sempre peggio. Acquisire una nuova difficoltà significa ripensare la percezione del proprio corpo e di se stessi alla luce della nuova condizione. Come cambia la vita e l’identità di una persona sorda che inizia a perdere la vista?
«Decidere di prendere un bastone bianco in mano e di mostrarsi in questa nuova veste è la parte finale di un percorso. Significa che dentro di te sono avvenuti tanti passaggi». Virginia ha 40 anni e vive a Roma, dove è nata. Il bastone di cui parla, e che la accompagna mentre si muove per le vie della città, è un particolare tipo utilizzato dalle persone con sordocecità per riconoscerle e aiutarle nei loro spostamenti, segnalando possibili ostacoli. Uno strumento che Virginia ha deciso di utilizzare solo da qualche anno, quando le limitazioni visive dovute alle sindrome di Usher di tipo 2 di cui è affetta si sono fatte più importanti, modificando radicalmente la sua vita e il modo di percepire la sua identità.
«Sono nata sordastra, con una sordità più o meno al 70%. Questo significa che ho messo delle semplici protesi acustiche all’età di due anni e mezzo, ho fatto un percorso di logopedia ma non ho dovuto imparare la Lingua dei segni», spiega. Il problema visivo si è manifestato più avanti, quando Virginia aveva circa 12 anni. La diagnosi di Usher però era arrivata sei anni prima, quando alla sorella maggiore di 7 anni è stata scoperta la stessa sindrome genetica.
«Non so se sia uno svantaggio o un vantaggio, ma questo significa che io ho saputo praticamente da sempre cosa avrei dovuto affrontare nella mia vita», dice Virginia, che ricorda il primo sintomo visivo che ha percepito manifestarsi: «Chiudendo gli occhi vedevo come tanti pixel di uno schermo che si muovevano». A compromettere la sua vista è una retinite pigmentosa, una degenerazione lentamente progressiva e bilaterale della retina causata da mutazioni genetiche.
La malattia comporta cecità notturna, restringimento del campo visivo - una cosiddetta “visione a tunnel” - e in alcuni casi, come in quello di Virginia, una maculopatia con problemi nella visione centrale. Un deterioramento della vista che porta fino alla cecità.
«Io mi definisco ‘un colore grigio’. Non sono né bianco né nero, né completamente una persona sorda né ho una cecità assoluta. E la difficoltà più grande che io ho incontratoè proprio il doversi interfacciare al mondo e far capire i limiti quando non sono assoluti, far comprendere la sfumatura», dice Virginia.
«Venire allo scoperto»
È stato l’intensificarsi dei problemi visivi a farle maturare la scelta di iniziare a usare il bastone bianco. Una decisione che lei definisce «un punto di non ritorno, che divide la mia vita in un prima e un dopo»: «Quello che distingue chi nasce con un limite con chi lo acquisisce nel corso del tempo, è che il primo caso comporta un’accettazione più semplice. Per chi fino a quel momento ha fatto una vita quasi da normo vedente o è riuscito a camuffare molto bene la sua retinite pigmentosa, usare il bastone significa venire allo scoperto».
Prima di iniziare a utilizzare il bastone, Virginia si è rivolta alla Lega del Filo d’Oro, organizzazione punto di riferimento per le persone con sordocecità e pluridisabilità psicosensoriale in Italia. Nella sede di Roma, nel quartiere Garbatella, è entrata in contatto con un tecnico di orientamento e mobilità.
«Avevo molte paure in quel momento, tra cui quella di non riuscire a portare avanti questo impegno», racconta Virginia, che temeva di incorrere nei numerosi ostacoli di una grande città come Roma, di essere aggredita, e che le persone che la frequentavano avrebbero smesso di farlo. «Alcune di queste paure si sono effettivamente realizzate: sono stata importunata per strada e ho perso molti rapporti dal momento in cui ho mostrato il bastone bianco».
Il percorso di accettazione di chi acquisisce una nuova disabilità
Ripensare la vita alla luce della nuova condizione
I timori vissuti da Virginia sono comuni a chi acquisisce una nuova disabilità nel corso della vita. La difficoltà maggiore in questi casi, spiega Nicoletta Marconi, Psicologa e Responsabile Settore Adulti e Servizio Territoriale del Centro Nazionale di Lega del Filo d’Oro di Osimo, è riadattarsi, passare «da una vita che potremmo definire ordinaria a una condizione di disabilità tale per cui si perdono delle autonomie, delle competenze. C’è da rivedere completamente la vita alla luce di una nuova condizione».
Un riadattamento che riguarda tutti i campi: dalla comunicazione - con il passaggio ad esempio dalla Lis alla Lis tattile nel caso delle persone con sordocecità - all’orientamento, la mobilità. E persino il modo di passare il tempo.
«Pensiamo agli hobby di una persona sorda: sono principalmente visivi, come la fotografia, la pittura. Quando perde la vista, la persona perderà anche quelle che sono le sue abitudini ricreative», dice Marconi, secondo cui «tutto va trasformato e rivisitato in una chiave completamente nuova. E questo comporta una serie di riadattamenti, non solo nella percezione del proprio corpo, ma anche della percezione del proprio sé».
Virginia, ad esempio, ha frequentato il liceo artistico e ha sempre avuto una passione per pittura e disegno che nel tempo, però, con il peggioramento della vista, ha dovuto abbandonare. «Questo mondo in qualche modo ormai lo sto perdendo. Un mondo che per me è stato di forte identità. Questo purtroppo è un lutto. Ma si stanno aprendo nuove possibilità», racconta. Ad esempio, ha scoperto un’associazione che, attraverso dei volontari, produce gli audiolibri di romanzi o saggi che gli utenti vorrebbero ascoltare. «Erano anni che non riuscivo più a leggere», commenta.
Dopo molti anni, inoltre, Virginia è riuscita nuovamente a iscriversi in palestra, dove prima del bastone faceva fatica ad arrivare, per continuare a coltivare un’altra delle sue passioni: «Da sempre amo camminare, ma Roma è una città piena di buche e non mi permette più di fare le lunghe camminate che facevo un tempo». Adesso le fa sul tapis roulant, mentre ascolta gli audiolibri. «Davanti a una malattia di tipo progressivo si perde tantissimo. Ma ho acquisito delle autonomie, ho scoperto delle cose nuove attraverso il percorso che ho fatto a partire dall'accettazione del bastone bianco».
Altro.
Episodio 03
«Io non sono la mia disabilità». Le passioni, gli amici, il futuro: la vita in avanti di Patrizia
Una persona con sordocecità può vivere pienamente lo spazio e la società che abita? Patrizia, sorda sin da piccola e con gravi difficoltà alla vista, non ha dubbi: esce da sola, incontra le amiche e il fidanzato, registra video ricette di cucina in Lis e viaggia
Quando qualcuno chiede a Patrizia se la sua disabilità sia mai stata un limite, la risposta è solo una, perentoria: «Assolutamente no». Sessantatré anni, sorda dalla nascita, vive da sola nel suo appartamento alle porte di Milano. A sette mesi i genitori si sono accorti che non sentiva i rumori dei giochi. A undici anni, le è stata diagnosticata una retinite pigmentosa, una malattia ereditaria della retina che provoca la perdita progressiva della vista. «Il mio campo visivo si è ridotto molto, non ho più né la vista laterale, né sopra o sotto. Quando è sera, poi, non vedo proprio più niente», spiega.
La patologia, però, non le ha mai impedito di vivere una vita piena di impegni, lavoro e relazioni. «A vent’anni ho iniziato a lavorare in una ditta chimica. Poi in un’altra fabbrica di condizionatori per pochi mesi, e infine in banca, dove sono rimasta per ventisette anni», racconta Patrizia,che si rifiuta di fare della sua disabilità il tratto distintivo della sua identità.
La passione per la cucina
Da quattro anni è in pensione, e può dedicarsi esclusivamente ai suoi hobby. Primo fra tutti la cucina, passione che ha sin da quando era bambina. «Quando ero piccola, avevo una decina d’anni, vedevo mia madre preparare i cappelletti. La guardavo e volevo imparare. Le ho chiesto di spiegarmi tutto: come si tagliavano i quadrati di pasta, come si metteva il ripieno, come si chiudeva. Mia madre è rimasta sorpresa da quanto fossi brava, seppur così piccola», ricorda. Crescendo, Patrizia ha continuato a coltivare questa passione, cucinando in ogni occasione. Nel 2017 una sua amica le ha detto che su Facebook esisteva un gruppo di cucina in Lis - Lingua dei Segni Italiana. «Mi sono unita e da allora faccio videoricette in Lis. Mi piace tantissimo, è una mia grande passione», dice, mostrando alcuni dei suoi video preferiti.
Oltre a cucinare, Patrizia si dedica anche a fare lavori artigianali di ogni tipo: addobbi natalizi, soprammobili, quadretti, che riempiono ogni stanza della sua casa: «Guardo su Facebook, prendo delle idee e poi ci aggiungo qualcosa di mio».
Una vita comunitaria
Quello che caratterizza la vita di Patrizia, è la fitta rete di relazioni che intrattiene. Vedova, da qualche tempo ha un nuovo compagno che abita in un’altra città e la viene a trovare nel weekend. Talvolta vanno insieme a Porto San Giorgio, nelle Marche, dove Patrizia ha una casa al mare. Capita anche che ci vada da sola - «prendo la metro e poi il treno, è comodissimo» - o con il suo gruppo di amiche sordocieche con cui, fino all’anno scorso, si vedeva assiduamente. La frequentazione ora si è più diradata, perché nel fine settimana Patrizia si dedica al compagno, ma non si è interrotta. «Domani verranno qui, ad esempio, mangeremo insieme», dice. «Abbiamo condiviso tanto, giocavamo con le carte in Braille, chiacchieravamo».
Per Cristina Alippi, Operatrice Territoriale Lega del Filo d'Oro di Lesmo, «è fondamentale che le persone sordocieche possano avere una vita comunitaria. In questo modo possono vivere in pieno della società e non restare isolati». Anche per questa ragione, Lega del Filo d’Oro, «mette a disposizione dei volontari per far sì che si incontrino dei gruppi di persone sordocieche. E ai volontari stessi chiediamo lo sforzo di imparare il metodo di comunicazione, Lis o Lis tattile, per avere il maggior accesso possibile alla persona».
Il ruolo della società
nella lotta per l'accessibilità
Cinque anni fa, Patrizia è entrata in contatto con la Lega del Filo d’Oro. È stata una delle sue amiche a parlargliene. «Anche lei, come me, vede poco e già frequentava il Centro di Lesmo. Mi ha chiesto se li volevo incontrare, perché avrebbero potuto insegnarmi tante cose, anche il Braille», ricorda. Da allora, Patrizia ha iniziato a partecipare alle attività. «Abbiamo fatto incontri, viaggi. Siamo stati a Palermo, a Napoli, a Venezia, in Spagna. Mi piace molto quel gruppo di persone sordocieche. Ci divertiamo ad andare in giro insieme», dice, ribadendo quanto sia importante per lei «avere delle passioni e comunicare con gli altri. Certo, all'inizio ci può essere un po' di paura, ma insieme la paura si supera».
Una società accessibile
Patrizia è autonoma e affronta tutto con determinazione. «Non sto mai da sola ad annoiarmi a casa. Vado a Milano da sola, prendo la metro, vado con il bastone e sono tranquilla. Faccio anche la spesa da sola», spiega.
Ma, al di là del coraggio individuale, ci sono anche dei passi fondamentali che la società deve fare affinché una persona con sordocecità possa vivere una vita piena e autonoma. «Ad esempio l’accessibilità, sia dal punto di vista della comunicazione, e quindi con interpreti di tutti i sistemi di comunicazione in uso, ma anche del movimento, con istruttori di orientamento e mobilità affinché possano muoversi da soli con il bastone bianco e rosso», afferma Alippi di Lega del Filo d’Oro. «E poi le persone con sordocecità hanno diritto all’accesso all’informazione, attraverso le barre Braille, la sintesi vocale. Dobbiamo mettere a loro disposizione tutti i vari sistemi affinché possano vivere una vita piena e autonoma».
Attraverso.
Episodio 04
Il prisma di Marco,
dove Cina e Italia si incontrano con il linguaggio dei segni
L’identità di Marco, italiano di seconda generazione, è fatta di tanti strati: c’è quello cinese dei suoi genitori, quello italiano, a cui sente di appartenere; quello di persona sorda che l’ha accompagnato per gran parte della vita; e quello di persona sordocieca, che sta pian piano accettando.
Quando la scorsa primavera Marco ha deciso di provare a registrare delle video ricette in Lis, Lingua dei Segni Italiana, la scelta del primo piatto da preparare è stata facile: involtini primavera, piatto tipico della cucina cinese. «Non sapevo farli, ma ho studiato approfonditamente la ricetta e poi ho deciso di divulgarla. Ho scelto questa perché la mia famiglia è di origine cinese, ed è molto legata a quella tradizione culinaria», racconta.
Marco, che di lavoro fa il fotografo e videomaker, è nato a Roma trentadue anni fa, e a casa ha sempre vissuto questo «mix di culture, tra cinese e italiano, che talvolta è un po' complicato. Sono molto diverse: una più rigida, l’altra più flessibile. Anche se io sono molto più vicino a quella italiana rispetto ai miei genitori».
A caratterizzare la vita di Marco è stata anche la sua sordocecità. «Sono nato udente, poi a sei mesi sono diventato sordo in seguito a una febbre», racconta. Man mano che cresceva, anche la vista ha iniziato a peggiorare. «Sembrava potessi essere affetto dalla sindrome di Usher. Poi, nel 2017, sono arrivato alla Lega del Filo d’Oro e ho fatto dei controlli, da cui è uscito fuori che in realtà la mia patologia è una distrofia retinica», spiega. Si tratta di un progressivo deterioramento della retina, destinato a portare all’ipovisione.
Le difficoltà di comunicazione
A sette anni Marco ha imparato a utilizzare la Lis. «Questo mi ha consentito di comunicare sempre bene nel mondo dei sordi», dice. In famiglia, però, non è così semplice. «I miei genitori non conoscono la Lingua dei Segni. Mia sorella ha imparato qualcosa, ma non in maniera approfondita. Questo ha fatto sì che, specialmente in passato, fossi abbastanza isolato da questo punto di vista», racconta Marco.
Quando, una volta cresciuto, ha appreso a leggere e scrivere in italiano, ha potuto comunicare più facilmente con i genitori. «Più con mia madre, che parla italiano, seppur molto semplice. Mio padre usa poco questa lingua, conosce il cinese, e quindi la comunicazione è ancora difficoltosa», spiega, aggiungendo che la sorella, invece, ha studiato all’università e dunque parla perfettamente italiano.
La barriera comunicativa Marco l’ha sperimentata anche al contrario, quando nel 2018 ha trascorso un periodo a Hong Kong. «Vedevo questo posto bellissimo e cercavo persone sorde per dialogare con loro, ma non riuscivo. Allora ho deciso di imparare la Lingua dei Segni Cinese. Solo che poi, tornato a Roma, l’ho dimenticata completamente».
Le difficoltà di una persona con disabilità nata in una famiglia con background migratorio
L’importanza della scuola
La comunicazione all’interno della famiglia è migliorata quando Marco ha iniziato a studiare l’italiano, non senza difficoltà. «Nella prima scuola che ho frequentato, usavo la Lis. Poi, però, ho cambiato istituto e lì erano tutti udenti. Era impossibile comunicare. Allora un’insegnante ha iniziato a dirmi che dovevo imparare la grammatica italiana, cosa per me molto complicata», racconta. A Marco viene quindi dato un libro per bambini, che inizia a studiare molto svogliatamente: «Non la volevo imparare la lingua. Leggevo una pagina e lasciavo perdere».
Alle scuole superiori, ha iniziato a leggere gli appunti che l’assistente alla comunicazione che gli era stata assegnata prendeva durante le lezioni. «Ho iniziato a migliorare la comprensione dell’italiano. Alla fine ho preso 100 alla maturità, significa che l’avevo imparato nella maniera corretta. Riuscivo a esprimermi con la lingua scritta, che mi serviva per comunicare con l’esterno e con la mia famiglia. Adesso sono bilingue al 100%», aggiunge Marco.
Secondo Laura Abet, responsabile del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi di LEDHA, la scuola è un presidio fondamentale per agevolare le famiglie con background migratorio che hanno dei figli con disabilità. «L’inclusione in una società parte dalla comunicazione. Ci sono situazioni in cui per ragioni linguistiche o culturali magari i genitori non vanno a parlare con i professori, laddove invece quando c’è un ragazzino disabile è necessario partecipare. Oppure ci sono sorelle e fratelli di bambini con disabilità che fanno da interpreti tra le madri e i professori», spiega. «Anche queste situazioni poi determinano problemi a livello di inclusione, non soltanto nel bambino con disabilità. Se non diamo [alle famiglie] informazioni corrette e se non le supportiamo in un Paese bello ed elevato dal punto di vista normativo come il nostro, alla fine poniamo in essere una discriminazione».
Identità che cambia
Essendo stato esposto alla Lis sin da bambino, Marco riconosce la sua identità originaria come quella di una persona sorda: «Lo era anche a livello comunicativo, ovviamente. Poi, nel tempo, ho iniziato ad accettare la mia difficoltà visiva degenerativa. Ho pensato di non isolarmi, e di circondarmi di ogni tipo di persona: sorda, udente, con sordocecità».
Nell’accettazione del passaggio a persona con sordocecità, dunque anche alla Lingua dei Segni Tattile, «è importante avere una famiglia vicino, comunicare anche con le persone udenti e con le persone sorde. È come avere tre identità all'interno di se stessi: un'identità sorda, un’identità sordocieca e anche una parte di identità udente. Relazionarsi con le persone permette di affrontare tutto e aiuta».