Giancarlo Giorgetti

Giancarlo GiorgettiAnsa | Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti

Chi è Giancarlo Giorgetti?

Vicesegretario della Lega, in parlamento da un quarto di secolo, il Gianni Letta leghista è l’autore della svolta europeista del partito entrato a far parte della maggioranza a sostegno del governo Draghi. È un veterano della Lega: sei legislature alla Camera dei deputati, le prime due vissute in concomitanza con il mandato da sindaco di Cazzago Brabbia. È da il paesino di 810 anime nel Varesotto che proviene Giorgetti. Dopo la laurea all’Università Bocconi, Giancarlo Giorgetti diventa dottore commercialista revisore dei conti. Già prima dei titoli accademici, l’attuale ministro accumula diverse esperienze politiche nel Fronte della gioventù, la branca giovanile del Movimento sociale italiano. I primi incarichi arrivano con la Lega Nord Padania nel 1995, con l’elezione a primo cittadino nel piccolo Comune al confine tra Lombardia e Piemonte, dove Giorgetti è nato il 16 dicembre 1966. Schivo, riflessivo, da alcuni descritto come così taciturno da sembrare noioso. Terminati gli studi universitari a Milano, Giancarlo Giorgetti inizia la gavetta nella società di consulenza e revisione Metodo, a Varese, fondata da un famigliare, Gianluca Ponzellini, insieme ad Angelo Provasoli. È il bagno di fuoco per Giorgetti, che inanella così una serie di contatti ed esperienze nel mondo degli affari. Sono gli anni in cui Umberto Bossi è a caccia di esperti di economia per rinfoltire i vertici della Lega. Nel 2000, il nome di Giorgetti rientra tra i 15 dirigenti scelti dal senatur per la segreteria federale.

Carriera politica

Da 25 anni a questa parte, la Lega ha sofferto almeno tre terremoti nella leadership. Da Bossi si è passati a Roberto Maroni e, per finire, alla segreteria di Matteo Salvini. Il leghista bocconiano è rimasto sempre lì, a tessere le maglie della sua reputazione di uomo preciso, attento ai conti, gran lavoratore ma, soprattutto, fine mediatore. Giorgetti è la liaison del partito con il mondo economico-finanziario del Nord. Per molti anni a capo della commissione Bilancio alla Camera, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a marzo 2013 lo inserisce nella lista dei “dieci saggi”, per elaborare un programma di riforme istituzionali ed economiche. Già dal 2009, il consolato americano a Milano lo annovera – lo si è appreso grazie ai dispacci diplomatici rivelati da Wikileaks – tra le personalità politiche del prossimo futuro, sharp e well respected, ovvero scaltro e molto stimato. Giorgetti diventa sottosegretario di Stato, per la prima volta, al ministero dei Trasporti nel 2001. Al governo c’era Silvio Berlusconi. Lo stesso ruolo, ma alla presidenza del Consiglio dei ministri, lo ottiene durante il Conte I. Il 13 febbraio 2021, con lo scioglimento della riserva da parte di Draghi, Giancarlo Giorgetti raggiunge l’incarico governativo più importante della sua carriera, essendo nominato come ministro dello Sviluppo economico, succedendo al 5 stelle Stefano Patuanelli.

La sibilla del passaggio da Conte a Draghi

Il 15 dicembre 2020, alla vigilia del suo 54esimo compleanno, in un’intervista al Corriere della Sera Giorgetti dimostra tutte le sue capacità politiche: «Tre mesi fa ho detto a Salvini; guarda che tu devi sperare che vinca Biden. E sai perché? Perché Renzi è suo amico, o almeno crede di esserlo, e con lui alla Casa Bianca si sentirà più forte, penserà di avere l’arma nucleare, e magari sarà disposto a forzare la mano e a rischiare». Un veggente: «Conte cadrà», ma il centrodestra «non è ancora pronto per governare». Il leghista non scommette sul ritorno alle urne, piuttosto su un terzo governo nella terza legislatura. Nella sua visione pre-natalizia, Giorgetti riesce addirittura ad anticipare di un mese e mezzo la giravolta di Salvini: «Deve utilizzare questo non breve tempo – fino alle elezioni, ndr. -per uscire dal personaggio che gli hanno cucito addosso, e acquisire l’affidabilità di uomo di governo, interna e internazionale. É una sfida anche per lui. Il suo straordinario successo politico è stato infatti costruito fuori dal Palazzo, nei social e nelle piazze, e questo lo spinge giustamente a non fidarsi del Palazzo e delle sue manovre. Ma per governare l’Italia ci vogliono alleanze e credibilità, non basta un forte consenso elettorale».

Testo di Felice Florio

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