Houthi
EPA/YAHYA ARHAB | Sana’a, Yemen, 3 gennaio 2024
Chi sono i ribelli Houthi?
Il loro vero nome è Ansar Allah. Ma i «partigiani di Dio» (quello islamico) dello Yemen sono conosciuti nel resto del mondo soprattutto come Houthi. Si tratta di un gruppo politico-militare islamista d’ispirazione sciita nato negli anni ’90 del secolo scorso e cresciuto negli anni, anche grazie al sostengo dell’Iran, fino a conquistare il controllo di parte del Paese, compresa la capitale Sana’a. Col regime teocratico di Teheran gli Houthi condividono l’appartenenza al ramo sciita dell’Islam, anche se il gruppo yemenita professa una variante locale del credo, lo zaydismo. Il nome più conosciuto della milizia è legato a quello del suo fondatore, Hussein al-Ḥūthī, che ne ha guidato la crescita politica e militare sino al 2004, quando fu ucciso dalle forze statali del Paese. I «partigiani di Dio» si sono infatti fatto largo nel Paese soprattutto come forza d’opposizione ad Ali Abdullah Saleh, presidente dello Yemen dal 1990 al 2012, accusato di corruzione e di essere al soldo di Usa e Arabia Saudita. Lungi dal frustrarne la ambizioni, l’assassinio del loro leader nel 2004 fece però divampare la rivolta anti-governativa degli Houthi, che diedero vita a un’insurrezione nel Nord del Paese che si sarebbe trasformata in un vera e propria guerra civile.
La conquista di Sana’a
Dopo la morte di Saleh, a cui si erano nel frattempo riavvicinati, nel settembre 2014 gli Houthi diedero l’assalto alla capitale Sana’a, prendendone il controllo e rovesciando il governo. Ne scaturì la guerra civile su piena scala che sarebbe divenuta il conflitto più lungo e sanguinoso del nuovo secolo. Sul piano locale, tra la milizia sciita e il governo rifugiatosi nella parte sud del Paese di Abdrabbuh Mansur Hadi; su quello regionale, tra i rispettivi sostenitori: l’Iran e l’Arabia Saudita (coi suoi alleati), che per anni si sono fatti guerra a distanza sulla pelle dello Yemen. Secondo le stime dell’Onu, nella guerra sono rimaste uccise oltre 150mila persone, altre 227mila sono morte a causa della carestia o dell’impossibilità di accedere a cure mediche. Solo nel 2022 le Nazioni Unite sono riuscite infine a mediare una tregua tra le parti, che regge pur non essendosi mai tradotta in un’intesa formale in grado di ridare stabilità al Paese.
Il legame con l’Iran e la guerra a Israele
Legati a doppio filo all’Iran, dopo la strage di Hamas del 7 ottobre e l’avvio della rappresaglia militare israeliana gli Houthi hanno giurato fedeltà ai «fratelli palestinesi», promettendo di interferire coi piani dello Stato ebraico attaccandolo con droni e missili. Il 31 ottobre un loro portavoce ha ufficialmente «dichiarato guerra» a Israele, promettendo di moltiplicare le azioni militari. Che da settimane includono il lancio di droni o missili verso Eilat, la città all’estremo sud d’Israele sulle rive del Mar Rosso, ma anche verso navi e cargo «sospettati» di legami a vario titolo con lo Stato ebraico (proprietà del mezzo, partenza o destinazione). Di fatto però gli attacchi aerei e in almeno un caso anche i dirottamenti hanno preso di mira un arco ben più ampio di imbarcazioni, che spesso nulla hanno a che fare con Israele. Spingendo gli Usa, gli alleati europei, ma anche quelli arabi, a lavorare per costituire una missione navale congiunta in grado di presidiare la rotta strategica del Mar Rosso dalle loro incursioni.