MiniBot
L’idea di introdurre i MiniBot è stata ripresa dal deputato leghista Claudio Borghi, proprio dopo le elezioni europee che hanno visto trionfare la Lega. Con un peso elettorale maggiore, i rappresentanti del Carroccio hanno rilanciato il progetto dei MiniBot già contenuto nel loro programma, scatenando però le reazioni critiche di numerosi economisti italiani ed europei. Ufficialmente, lo spunto è arrivato da una mozione, a prima firma di Simone Baldelli di Forza Italia, votata all’unanimità dalla Camera lo scorso martedì 28 maggio. Tutti i partiti presenti in aula, compresi PD e +Europa, si sono espressi a favore di un provvedimento che consentirebbe alla pubblica amministrazione di pagare i debiti accumulati con le imprese attraverso i MiniBot. Certo, una mozione non è vincolante. E il Mef ha sottolineato che la misura è tutt’altro che necessaria. «Non c’è» – hanno detto dal ministero dell’Economia – «nessuna necessità, né sono allo studio misure di finanziamento di alcun tipo, tanto meno emissioni di titoli di Stato di piccolo taglio, per far fronte a presunti ritardi dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni italiane». Fatto sta che l’approvazione bipartisan ha fatto discutere parecchio, tanto da spingere i deputati dem e quelli di +Europa a fare un immediato passo indietro.
Cosa sono i MiniBot?
I BOT (buoni ordinari del tesoro), sono titoli del debito pubblico italiano di breve termine, cioè con scadenza a 3, 6 o 12 mesi. Chi li acquista di fatto dà in prestito soldi allo Stato per un periodo di tempo circoscritto, a fronte di un tasso di interesse inferiore, ad esempio, a quello concesso per i BTP (buoni del tesoro poliennali). Quella dei MiniBot è una delle clausole presenti non solo nel programma elettorale di Salvini Premier, ma anche un punto scritto nero su bianco nel Contratto di governo sottoscritto dalla Lega con il M5s. Ecco le principali caratteristiche di questi mini buoni del Tesoro:
- sono dei buoni ordinari del tesoro di piccolo taglio che servono, come i normali BOT, a pagare i debiti che la pubblica amministrazione ha contratto con gli imprenditori che avevano deciso di investire nei titoli di Stato;
- a differenza dei BOT, che hanno un valore minimo di 1.000 euro (e che hanno a che fare anche con creditori più grandi), questi avrebbero dei tagli molto più ridotti (tra i 5, 10, 20, 50 e 100 euro);
- non garantiscono interessi ai possessori e non hanno una scadenza
- in caso di attivazione sarebbero cartacei e non digitali come gli attuali titoli di stato
- non sarebbero obbligatori, quindi lo Stato non sarebbe costretto a emetterli periodicamente come accade con i BOT (grazie anche questa clausola, il loro inventore ha potuto rivendicare la legalità dell’idea).
- non si potrebbero usare per saldare pagamenti superiori ai 25mila euro
A cosa servono
I MiniBot sarebbero una modalità di pagamento del debito che le pubbliche amministrazioni hanno nei confronti dei fornitori, i crediti di imposta pluriennali, i crediti iva delle piccole e medie imprese e dei professionisti. Le imprese potrebbero ricevere «una boccata d’ossigeno finanziaria», soprattutto quelle in difficoltà, e rientrare dei loro crediti non con moneta avente corso legale ma attraverso dei titoli di stato. Tuttavia le imprese non potrebbero usare i MiniBot per saldare i debiti coi propri fornitori e pagare i dipendenti, ad esempio. Potrebbero usarli, però, per pagare le imposte come previsto nel programma della Lega: i MiniBot erano previsti anche per pagare i crediti di imposta. Ma se il governo accettasse i MiniBot rinuncerebbe automaticamente ad incassare moneta e, di conseguenza, aumenterebbe il debito pubblico. Lo Stato, quindi, si troverebbe di fronte a un bivio: o prendere in prestito moneta vendendo titoli di stato oppure tagliare la spesa pubblica.
Le conseguenze
Nella prima eventualità crescerebbe il debito pubblico e, contestualmente, il tasso di interesse, ovvero i soldi necessari per convincere i mercati ad acquistare il debito pubblico italiano. La logica dice che, al contrario, dovremmo ridurre il debito, ma questo significherebbe aumentare le imposte, ovvero un ulteriore costo per i cittadini. L’alternativa è il taglio dei servizi pubblici – tutti ricordano i vani tentativi degli ultimi tre governi di pianificare una seria spending review – e anche in questo caso, sarebbero i cittadini a perderci perchè le eventuali riduzioni di spesa colpirebbero soprattutto pensioni, sanità e scuola.
L’idea di Claudio Borghi
L’ideatore dei MiniBot è il leghista Claudio Borghi, attuale presidente della Commissione Bilancio della Camera. Noto sostenitore dell’uscita dal sistema euro, già nel 2017 ne aveva parlato come «lo strumento da usare per prepararsi a un’ipotetica uscita ordinata dall’euro muovendosi nel perimetro delle regole comunitarie». Nelle intenzioni di Claudio Borghi, il saldo di parte dei debiti della pubblica amministrazione attraverso i MiniBot dovrebbe garantire un’impennata della domanda interna perchè i «mini» titoli di Stato potrebbero essere spesi per l’acquisto di beni e servizi. Inoltre, le imprese potrebbero mettere a posto i conti, ma anche aumentare la spesa, e una maggiore crescita economica significherebbe anche un aumento delle entrate fiscali.
Come funzionano: perché i MiniBot non sono una moneta
Molto semplicemente perché, come ha sentenziato Draghi, creare una moneta alternativa è illegale. La posizione di alcuni, però, è che i MiniBot avrebbero a tutti gli effetti l’aspetto di una valuta alternativa all’euro, esplicitamente vietata dall’articolo 128 del Tfue. Una specie di gioco economico valido solo in Italia che formalmente funzionerebbe proprio come una moneta: si baserebbe, cioè, sulla creazione del debito e del credito. Tra l’altro, lo stesso Borghi aveva già provveduto a creare dei bozzetti nel 2017, in collaborazione con il vignettista Carlo Botta. Il che vuol dire che questi MiniBot avrebbero, oltre a un funzionamento formale, anche una natura materiale. Non essendo però moneta reale, c’è da chiedersi in cosa si differenzierebbero dalle «banconote del monopoli» (Giancarlo Giorgetti dixit).
Perché sono stati (e sono tuttora) considerati il preambolo all’Italiexit
La questione più evidente è che questa non-valuta sarebbe spendibile solamente all’interno del perimetro italiano e in relazione ai beni e servizi della pubblica amministrazione. Il che vuol dire che, ad esempio, quelle non-banconote di piccolo taglio non potrebbero essere spese su Amazon, ma per pagare le tasse, i biglietti del treno e la benzina. Su un piano attualmente meno esplicito, dati i cambiamenti più recenti in casa Lega, va comunque considerato che l’idea ha preso il via da un partito che tradizionalmente aspira a uscire dall’Europa. Secondo molti tra quelli che si sono espressi in questi giorni, questo ritorno in auge dei MiniBot farebbe supporre che quella scintilla di indipendentismo propria della Lega continua a bruciare nei cuori dei suoi deputati.
Le reazioni
«I MiniBot o sono moneta, e allora sono illegali, oppure sono debito, e allora il debito pubblico sale. Non vedo una terza possibilità». Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha liquidato così il paventato ritorno dei cosiddetti “mattoni dell’Italexit“. Oltre a Mario Draghi, anche il ministro del Tesoro Giovanni Tria ha bocciato l’idea che i MiniBot possano essere una reale alternativa all’economia interna davanti alla platea internazionale del G20 a Fukuoka. La panchina degli oppositori ha visto sedersi anche il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco secondo il quale «sono sempre debito, non è di certo una soluzione al problema del nostro debito pubblico». Moody’s ha definito i MiniBot «il primo passo per introdurre una moneta alternativa e preparare l’uscita dall’area euro dell’Italia», il presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, Alessio Rossi li ha paragonati «ai soldi del Monopoli» e il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che li considera «uno strumento di debito, meglio non incrementarlo».
Il dibattito nella maggioranza
Al dibattito ha partecipato anche Alessandro Di Battista che in un post su Facebook ha messo nel mirino il ministro Tria scrivendo: «Reputo molto intelligente la proposta dei MiniBot. A proposito di Tria, ma esattamente a chi risponde il Ministro quando dice che non tratteremo il tema dei MiniBot a livello di governo? Non risponde certo ai suoi elettori, dato che Tria non ha mai preso un voto». «Non risponde neppure al Parlamento – continua Di Battista – e dovrebbe farlo dato che, fino a prova contraria, viviamo in una Repubblica parlamentare. Qualcuno gli dovrebbe ricordare che lo scorso 28 maggio la Camera dei Deputati ha approvato all’unanimità (dopo il voto favorevole Pd e +Europa hanno detto di essersi sbagliati ma francamente sono problemi loro non delle imprese) una mozione che ‘impegna il governo a rendere possibile il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese in Minibot, ovvero titoli di Stato di piccolo taglio».
Matteo Salvini, in passato dalla parte dei “Basta euro”, ha commentato le dichiarazioni del ministro Tria con queste parole: «Parleremo con Tria dei MiniBot al suo rientro in Italia, gli chiederemo se ha idee più brillanti per pagare i debiti della Pa. Da ministro non devo dire se una cosa mi piace o non mi piace, se me la chiede il parlamento la faccio». Non si è fatta attendere, naturalmente, la risposta di Claudio Borghi che fa riferimento all’articolo 11 del contratto di governo che prevede, appunto, i MiniBot e alle perplessità manifestate da Tria e Conte: «Credo che Tria e Conte siano spaventati dall’ondata di disinformazione che c’è stata. Sono fiducioso che si convinceranno». «Qualcuno potrebbe pensare (e temere) – continua Borghi – che abbiano troppo successo e allora diventino una specie di seconda moneta. Mi spiace per loro, ma la questione non è stata pensata per questo obiettivo, d’altronde sono nominati in euro anche i nostri BOT normali e adesso sono meglio della moneta contante perché i tassi sono negativi».
Il parere degli economisti
Alcuni economisti affermano esplicitamente che i MiniBot potrebbero essere il primo passo verso un’uscita dell’Italia dall’euro. Tra questi, Guido Iodice sul Sole 24 Ore ha ipotizzato che se i MiniBot fossero emessi come valuta parallela potrebbero essere il viatico per l’uscita dalla moneta unica. Se secondo Roberto Perotti l’obiettivo finale di tutta questa operazione è preparare l’uscita dall’euro dell’Italia, per Tito Boeri, ex presidente dell’INPS, i MiniBot sono una tassa patrimoniale: «Pensate di volere investire 100 euro in titoli di Stato. Vi farete convincere a comprare un minibot anziché uno dei titoli oggi in circolazione solo se vi costasse molto meno della somma che lo Stato si impegna a pagarvi non si sa quando. Ad esempio, potreste decidere di comprarli se con 100 euro versati oggi ottenete un minibot che certifica l’impegno dello Stato a darvi 200 euro a data imprecisata».
«In altre parole – prosegue Boeri – li acquistereste solo con uno sconto del 50 per cento sul valore nominale del titolo. Dando alle imprese dei minibot di un valore nominale uguale a quello dei crediti che loro vantano nei confronti della Pa si impone così una pesante svalutazione dei loro patrimoni. Quanto pesante? Per saperlo bisognerebbe mettere all’asta i minibot, ma è probabile che non ci discosteremmo di molto dall’esempio di cui sopra. Le imprese che hanno ricevuto i minibot proveranno a venderli a persone come voi che, come si è detto, saranno disposte ad acquistarli solo a un prezzo notevolmente più basso del loro valore nominale».
I titoli “liquidi”
Più morbida la posizione di Massimo D’Antoni, docente di Scienza delle Finanze all’Università di Siena: «L’emissione di titoli di piccolo o grande taglio, riallineerebbe deficit (già fatto) e variazione ufficiale del debito. Quella di emettere titoli “liquidi” è una soluzione interessante, che sperimenterei. Poi, certo, c’è l’isteria da «oddio, escono dall’euro!»». Una volta chiarito che l’Italia rimarrebbe nell’unione monetaria, i Minibot potrebbero rivelarsi la maniera più funzionale per individuare la reale portata del debito pubblico italiano, includendo nel conto anche il debito che lo Stato ha contratto nei confronti dei privati. Il direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni, Carlo Stagnaro, su Twitter è perentorio: «o sono debito (per tagliare le tasse e/o aumentare la spesa) o sono moneta. Se sono debito sono inutili: tanto vale emettere titoli di stato e pagare i fornitori della Pubblica amministrazione con gli euro raccolti in tal modo. Se sono moneta, we have a problem».
Massimo Amato, professore di Scienze sociali e politiche dell’università Bocconi, non apre ai MiniBot ma suggerisce una forma di valuta fiscale finalizzata «al pagamento con voucher elettronici da convertirsi automaticamente a data certa in euro dei debiti dello Stato verso le imprese. La Pubblica amministrazione pagherebbe in euro al momento del pagamento, ma anticiperebbe fin da subito qualche cosa che a scadenza diventa euro, ma che nel frattempo può essere usato, e non a sconto, per pagarsi fra soggetti economici, e che è accettata da tutti proprio perché può essere usata da tutti per pagare le tasse».
Testo di Giada Ferraglioni