Recep Tayyip Erdoğan
Chi è Recep Tayyip Erdoğan?
Recep Tayyip Erdoğan è il 12° presidente della Turchia. Rieletto capo dello Stato nel 2023 dopo un primo turno non risolutivo contro Kemal Kılıçdaroğlu, il Sultano ha all’attivo cinque elezioni parlamentari, due elezioni presidenziali, tre referendum e un colpo di stato sventato. Ha ricoperto la carica di sindaco di İstanbul dal ’94 al ’98 e di primi ministro dal 2003 al 2014. Nel 2001 fonda il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp, Adalet ve Kalkınma Partisi) di ispirazione islamica con il quale vince le elezioni nel 2002, 2007 e 2011 prima di dimettersi dallo stesso dopo la sua elezione a presidente nel 2014. In seguito, è tornato alla leadership dell’Akp nel 2017, dopo il referendum costituzionale che ha aumentato notevolmente i poteri del Presidente della Repubblica a scapito di quelli del Parlamento.
Gli inizi
Erdoğan viene da una famiglia islamica molto religiosa e povera, originaria delle coste del Mar Nero nel nord-est della Turchia. Da adolescente, per sostenere gli sforzi economici dei congiunti, vende limonata e simit (focacce di sesamo) per le strade del suo quartiere di İstanbul, Kasımpaşa. Dall’età di 15 anni e fino agli esordi della sua carriera politica il Sultano è un giocatore di calcio di buon livello. Ma a causa del veto del padre, è costretto a rifiutare l’offerta del Fenerbahçe SK. Terminati gli studi di Economia e Commercio all’Università di Marmara, Erdoğan intraprende l’attività politica alla fine degli anni ’70. Si iscrive all’Associazione nazionale degli studenti turchi; ma la sua ascesa prende forma quando da studente universitario viene messo a capo della sezione giovanile locale del Partito nazionale di salvezza (Msp), un partito islamista fondato negli anni ’70 da Necmettin Erbakan (primo premier islamista della Turchia) bandito in seguito al golpe del 1980 del generale Kenan Evren. Quindi il suo ingresso nel Partito del welfare (sempre di Erbakan) e la nomina a capo della sezione provinciale di Istanbul e come membro del consiglio centrale di amministrazione.
L’elezione a sindaco e l’arresto
Nel 1994 diventa sindaco di İstanbul. Ribattezzato dai cittadini il Robin Hood della Turchia per la lotta alla corruzione, Erdoğan è il primo politico appartenente a un partito religioso a ricoprire il ruolo di primo cittadino. Ma il suo mandato si interrompe dopo il golpe dei generali turchi nel ’97 che porta alle dimissione dell’allora primo ministro Erbakan e alla chiusura dei principali partiti islamisti. Durante una delle manifestazioni di protesta, Erdoğan finisce in carcere (4 mesi sui 10 comminati) con l’accusa di incitamento all’odio religioso per aver letto pubblicamente, nella cittadina di Siirt, i versi dello scrittore Ziya Gökalp, considerati offensivi nei confronti dello stato kemalista turco: «Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…». La condanna gli impedisce di assumere la carica di primo ministro nel 2002, nonostante la vittoria alle elezioni di novembre del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), da lui fondato nel 2001. Uscito dal carcere, Erdoğan si unisce al Partito della Virtù in cui confluiscono due correnti: quella tradizionalista che rimane fedele alla retorica islamica e quella riformista guidata proprio dal Sultano, fortemente critica verso la struttura centralizzata del partito e con uno sguardo (futuro) favorevole all’adesione della Turchia all’Unione europea (l’ingresso è stato in linea di principio approvato dal Parlamento Ue nel 2004; i successivi negoziati, cominciato un anno dopo, sono di fatto congelati).
Il ruolo di primo ministro
EPA | Recep Tayyip Erdogan
La sua nomina a premier arriva nel 2003 dopo la ripetizione delle votazioni nella provincia di Siirt e grazie a una modifica costituzionale che gli consente di candidarsi e vincere. Sostituisce, così, Abdullah Gül alla guida del 59esimo governo della Repubblica turca; carica che mantiene per undici anni in seguito alla vittoria dell’Akp nelle successive elezioni del 2007 e del 2011. Il 10 agosto 2014, con il 52% dei consensi vince le prime presidenziali: si tratta della prima elezione diretta del Presidente, che in precedenza era eletto dal Parlamento.
Il colpo di Stato fallito
Durante la notte del 15 luglio 2016, un gruppo di militari coordinati da alte cariche dell’esercito, della marina e dell’aviazione mette in atto un colpo di Stato per rovesciare il presidente Recep Tayyip Erdoğan e prendere il potere nel Paese. Dopo aver bloccato le principali strade di Ankara e İstanbul e preso il controllo di diverse basi militari, i golpisti trasmettono un messaggio dalle sedi di alcune emittenti televisive in cui annunciano che il «Concilio per la pace nella patria ha preso il potere e imposto la legge marziale». Ma nel giro di qualche ora le forze fedeli del Sultano riescono però a recuperare il controllo della situazione, mettendo fine il giorno dopo, alle primissime ore del mattino, il golpe. Nonostante questo, più di 250 persone morirono e 2000 rimasero ferite. Erdoğan – che è riuscito a fuggire poco prima dell’arrivo dei militari evitando, così, l’arresto – approfitta dell’occasione per liberarsi dei suoi nemici interni. Accusa, infatti, un suo ex alleato, diventato avversario politico, Fethullah Gülen, di aver messo in piedi l’operazione e comincia una campagna di eliminazione delle minacce interne che ha portato all’arresto di centinaia di migliaia di persone e al licenziamento di altre centinaia di migliaia da incarichi pubblici nell’esercito, nell’istruzione e nel sistema giudiziario: molti di questi avevano poco o niente a che fare con il colpo di stato. Di qui, il cambiamento nella politica turca: Erdoğan, rafforzato, inizia ad adottare misure sempre più autoritarie che hanno portato, tra le altre cose, all’arresto di noti membri dell’opposizione. Negli ultimi anni, il presidente turco e l’Akp hanno permesso ai valori della tradizione religiosa di emergere negli spazi pubblici in un paese fortemente improntato al laicismo di stampo kemalista.
Le elezioni del 2023
Nell’anno del centenario della fondazione della Repubblica di Turchia il presidente Recep Tayyip Erdoğan si conferma per altri cinque anni alla guida di un Paese che rimane fortemente polarizzato a livello politico. Per la prima volta costretto al ballottaggio dallo sfidante Kemal Kilicdaroglu, il leader turco ha vinto con il 52.14% delle preferenze, il rappresentante dell’opposizione si è fermato invece al 47.86%. Ha festeggiato la sua vittoria prima a Istanbul, davanti ai sostenitori riunitasi nel quartiere conservatore di Uskudar, e poi al palazzo presidenziale di Ankara. Intanto, gli elettori che non hanno votato per lui si interrogano sulle prossime restrizioni che il governo potrebbe imporre. A preoccupare è la presenza in Parlamento degli ultra-conservatori che vogliono cancellare, in primis, la legge che tutela le donne dalla violenza domestica e che protegge i minori dai matrimoni forzati. Ultima garanzia rimasta in Turchia dopo l’uscita dalla Convenzione di Istanbul, trattato internazionale firmato nel 2011 pensato per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza.
La politica interna ed estera
EPA/ERDEM SAHIN | Recep Tayyip Erdogan
Con la sua rielezione, la ricostruzione dopo il drammatico terremoto del 6 febbraio che ha colpito la Turchia, la questione dei rifugiati siriani e lo stato di salute dell’economia (impennata dell’inflazione e deprezzamento della lira), restano i dossier più spinosi per quanto riguarda la politica interna. Sul fronte estero, invece, Erdoğan ha saputo sfruttare l’appartenenza della Turchia alla Nato e le sue relazioni con il presidente russo, Vladimir Putin, per porsi come mediatore tra le parti nella guerra in Ucraina. Il controllo sugli stretti del Bosforo e dei Dardanelli gli ha permesso di giocare un ruolo decisivo per il raggiungimento di un accordo tra Mosca e Kiev sull’export di grano, che la Russia ha deciso di bloccare. Altro fascicolo scottante, sul fronte estero, l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Per diversi mesi, Erdoğan ha infatti bloccato l’adesione dei due Paesi nell’Alleanza. Dopo aver dato l’ok per avviare il processo di ratifica in Parlamento per l’adesione della Finlandia, il presidente turco – lunedì, 10 luglio 2023 – ha fatto sapere che sosterrà l’ingresso della Svezia nella Nato. L’accordo è stato annunciato da Vilnius, la capitale della Lituania, dove si è tenuta la riunione annuale dell’Alleanza.
La Turchia ha fatto per oltre un anno ostruzionismo nei confronti dell’ingresso di Stoccolma per una serie di dinamiche pendenti nei rapporti bilaterali: prima fra tutte l’accoglienza riservata nel Paese scandinavo a attivisti/combattenti curdi più o meno esplicitamente affiliati al Pkk che la Turchia considera un’organizzazione terroristica. Nonostante non sia ancora chiaro perché il Sultano abbia cambiato idea (così rapidamente), l’ipotesi è che ci sia la possibilità di ridare slancio ad alcuni capitoli dei negoziati della Paese per l’adesione nell’Ue: non in vista di un effettivo ingresso, ma tale da consentirgli ad esempio di accedere all’unione doganale o di permettere ai suoi cittadini di poter viaggiare in Europa senza necessità di visti. Un’altra promessa che con ogni probabilità la Turchia ha ricevuto viene dagli Stati Uniti, che secondo molti avrebbero acconsentito – dopo anni di richieste – a vendere alla Turchia 40 nuovi caccia F-16 più alcuni kit per modernizzare i caccia già a disposizione dell’aviazione turca.
Testo di Alessandra Mancini