Yevgeny Prigozhin

Yevgeny PrigozhinAnsa | Il capo del Gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin

Chi è Yevgeny Prigozhin?

Yevgeny Prigozhin è il leader della milizia paramilitare russa denominata Gruppo Wagner, da lui co-fondata nel 2014. Imprenditore con interessi in diversi settori, è conosciuto anche con l’appellativo di «chef di Putin» per i diversi ristoranti da lui gestiti, uno dei quali ospitò in almeno un’occasione ufficiale il presidente russo, e di ditte di catering che hanno fornito a lungo servizi per il Cremlino. Da quando il Cremlino ha sollecitato il dispiego delle forze di Wagner nella guerra in Ucraina, l’impegno diretto di Prigozhin si è concentrato sempre di più nella guida militare delle azioni dei suoi, culminate nell’assedio a Bakhmut della primavera 2023, strappata all’Ucraina il 20 maggio dopo mesi di battaglia. Ma all’aumentare del peso del coinvolgimento di Wagner nella guerra d’Ucraina, Prigozhin ha fatto salire progressivamente di tono anche le sue rimostranze nei confronti dei comandi militari russi, accusati di scarsa lungimiranza strategica e carente supporto agli sforzi militari (compreso il sacrificio di uomini) del Gruppo. Un’insoddisfazione e una tensione coi vertici della Difesa culminati nel clamoroso ammutinamento dei paramilitari della Wagner, che il 24 giugno 2023 Prigozhin ha ritirato dal teatro ucraino e guidato oltreconfine, marciando per centinaia di chilometri dentro la Russia e minacciando di arrivare fino a Mosca. Una rivolta armata fermata dallo stesso Prigozhin poco prima del possibile arrivo nella capitale, dopo un contatto con Vladimir Putin che gli avrebbe garantito l’immunità da future indagini in cambio dell’esilio forzato in Bielorussia.

L’ascesa economica e l’alleanza con Vladimir Putin

Ansa | Prigozhin mostra al presidente russo Vladimir Putin la sua azienda, la Concord Catering (2010)

Nato a San Pietroburgo il 1° giugno del 1961 (la stessa città in cui è nato e cresciuto Vladimir Putin, nota in epoca sovietica come Leningrado) da un’infermiera e da un ingegnere, Prigozhin perde il padre all’età di 9 anni. Introdotto dal padrino, Samuil Fridmanovich Zharkoi, agli sport alpini, Prigozhin si diploma nel 1977 in un istituto sportivo di Leningrado. Il suo sogno è diventare uno sciatore professionista. Obiettivo che è costretto ad abbandonare dopo un infortunio. Lavora per qualche tempo come istruttore sportivo per bambini, ma le attività che gli riescono meglio sono ben presto quelle criminali, come ha potuto ricostruire The Intercept. È arrestato una prima volta nel 1979, a 18 anni, per furto, e condannato a due anni e mezzo di prigione, con sentenza sospesa. Ma non perde il vizio. Entrato a far parte di una gang di San Pietroburgo, due anni dopo è condannato a 13 anni, da scontare in una colonia penale, per rapina a mano armata, frode e coinvolgimento di minori in attività criminali. Nel 1988 la Corte Suprema gli riduce la pena a 10 anni perché mostra di aver intrapreso «comportamenti correttivi». Rilasciato nel 1990, Prigozhin s’iscrive alla facoltà di Farmacia, corso di studi poi abbandonato. Si sposa, ha tre figli e cambia direzione di marcia.

Sono gli anni ’90, l’epoca «selvaggia» della liberalizzazione economica dopo il collasso dell’Urss, e Prigozhin si scopre talentuoso imprenditore. Da una visita negli Usa nel 1993 trae l’idea di lanciare una catena di fast-food nel suo Paese. Detto, fatto: mette in piedi una catena di oltre 100 chioschi di hot dog e fa fortuna. Prende gusto negli investimenti del settore, che prosegue con l’apertura di un’azienda, di un bar e di un ristorante su una vecchia nave che diventa immediatamente «il posto più cool di San Pietroburgo». All’inizio degli anni 2000, quando vede la luce l’era di Vladimir Putin, Prigozhin è un imprenditore di successo nel settore della ristorazione oltre che dell’edilizia. Che entra presto nel cuore dell’élite politica: i servizi di catering e ristorazione della sua Concord sono scelti per cene e ricevimenti di Stato d’importanza crescente. Sono ospiti dei suoi locali negli anni 2000 due presidenti americani, George Bush e Bill Clinton, quello francese Jacques Chirac, il primo ministro britannico Tony Blair e il futuro Re Carlo III. E Prigozhin serve direttamente i leader del Cremlino in almeno due occasioni: alla festa di compleanno di Putin nel 2003 e alla cerimonia d’inaugurazione della presidenza di Dmitry Medvedev nel 2008. È l’inizio di una vicinanza personale con il «cerchio magico» di Vladimir Putin da cui scaturiranno presto le iniziative politiche e militari cui Prigozhin darà vita d’intesa col Cremlino.

Le «operazioni sporche» del Gruppo Wagner e il ruolo nella guerra in Ucraina

A sancire la stretta alleanza con il Cremlino è l’affidamento nel 2012 (anno del ritorno alla presidenza di Vladimir Putin dopo la «parentesi» affidata al delfino Medvedev) di un contratto per fornire pasti all’esercito russo per un valore stimato di 1,2 miliardi di dollari l’anno. Ma sempre più vicino all’ambizioso leader, Prigozhin ha ormai anche altro in mente. Nel 2013 mette in piedi un business ben meno «presentabile», per lo meno fuori dalla Russia: la Internet Research Agency, società che si dedica alla diffusione di propaganda online e operazioni d’influenza, anche in altri Paesi. Affinate tecniche e aumentati gli organici, la «fabbrica di troll» di Prigozhin in vista delle elezioni americane del 2016 concepisce e poi esegue una vasta operazione di interferenza nella campagna elettorale Usa per favorire l’ascesa di Donald Trump, iniziativa per la quale Prigozhin insieme ad altri 12 cittadini russi sarà condannato nel 2018 nell’inchiesta americana sul Russiagate. Già due anni prima, nel 2016, l’imprenditore «deviato» è inserito dagli Usa in una lista di individui sanzionati.

Nel frattempo, anche se i legami saranno confermati dall’interessato solo anni più tardi, è nata la compagnia Wagner. Prigozhin la co-fonda insieme all’ex funzionario dei servizi russi Dmitry Utkin. L’obiettivo scoperto è quello di dare manforte alle forze russe nel condurre operazioni di natura militare o para-militare in teatri complicati, nei quali il Cremlino ha interesse a mettere piede, ma anche a non farlo in modo «ufficiale». I miliziani del gruppo, raccolti in gran parte – anche dallo stesso Prigozhin – tra detenuti o ex tali nelle carceri russe, vengono impiegati dal 2014 nelle regioni separatiste dell’Ucraina del Donbass. Poi, negli anni seguenti, in una serie di altri conflitti aperti o latenti in cui la Russia ha interessi: nella guerra civile in Siria, nel caos in Libia, e ancora in Africa: in Mali e nella Repubblica Centrafricana. Le «gesta» degli uomini della Wagner sono sempre più all’attenzione della politica internazionale: i paramilitari si distinguono per la loro efficacia ma anche per la loro efferatezza, compiendo assassini, torture e stupri anche ai danni di civili nelle zone in cui sono impiegati. Sono le prove generali, a posteriori, per il loro impiego su larga scala nella guerra vera e propria che Putin dichiara – anzi, lancia senza dichiararla tale – il 24 febbraio 2022 contro l’Ucraina. Fallito l’obiettivo sperato di conquistare rapidamente il controllo del Paese, uccidendo o esiliando Zelensky per imporre un governo-fantoccio, nel quadro di un conflitto prolungato che macina mezzi e vite la Difesa russa sceglie di affidarsi dall’autunno del 2022 all’esperienza e alla «forza lavoro» del gruppo Wagner. Gli uomini di Prigozhin vengono impiegati nelle zone contese a ridosso del Dontesk e del Lugansk. Poi, di fronte alla resilienza coriacea delle forze ucraine, per rompere lo stallo in alcune città chiave del fronte orientale: a Soledar nell’inverno 2023, quindi a Bakhmut – assediata per mesi e strappata infine a Kiev a fine maggio.

La rivolta contro il Cremlino e l’esilio forzato in Bielorussia

I successi sul campo ucraino della milizia Wagner arrivano a un caro prezzo: quello di un numero altissimo di caduti in guerra. Un conteggio poi attribuito a Prigozhin parla di 22mila paramilitari uccisi in battaglia sui 78mila impiegati, e di 40mila feriti. Un tributo di sangue che l’ex ristoratore ritiene inaccettabile, considerando che i vertici dell’Esercito non hanno ai suoi occhi una strategia credibile per vincere la guerra, e sui fronti più caldi del conflitto mandano essenzialmente allo sbando gli uomini di Wagner, lasciati troppo spesso senza copertura militare aerea, rinforzi o adeguati rifornimenti. Prigozhin rivolge tali accuse prima privatamente, poi in maniera via via sempre più esplicita e dura anche pubblicamente. L’obiettivo numero 1 dei suoi strali è il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu, quello numero 2 il capo di Stato maggiore Valerij Gerasimov. Prigozhin, di fatto, arriva a chiedere a Putin la loro testa, per lo meno in senso politico. A giugno 2023, completata la consegna di Bakhmut all’esercito regolare russo, Prigozhin stupisce il mondo intero passando dalle parole ai fatti.

La sera del 23 giugno l’ex «chef di Putin» diffonde un messaggio audio nel quale denuncia che gli accampamenti ucraini della Wagner sarebbero stati colpiti da missili russi. Vero o falso, è l’espediente per Prigozhin per chiamare i suoi all’ammutinamento e alla rivolta contro i comandi dell’Esercito di Mosca, un’iniziativa senza precedenti nell’era del potere (apparentemente) «indistruttibile» di Vladimir Putin. Alle prime ore del 24 giugno, è un sabato, l’operazione ha inizio. Alla testa di una milizia di 25mila uomini, Prigozhin fa rientro in patria, varca il confine a Rostov sul Don e assume il controllo degli edifici civili e militari chiave della città. È, di fatto, la dichiarazione di una guerra civile. «Vogliamo vedere il capo di Stato maggiore (Gerasimov, ndr) e Shoigu», fa sapere Prigozhin. «Se non arrivano occuperemo la città di Rostov e ci dirigeremo verso Mosca». I segnali che arrivano dalla capitale vanno però in senso opposto: dopo ore di silenzio Vladimir Putin parla alla nazione e invita all’unità per respingere il sospetto golpe, definendo quella di Prigozhin una «pugnalata alle spalle». Viene proclamata la legge speciale anti-terrorismo, e Mosca si blinda in attesa del possibile arrivo dei Wagner. Prigozhin riprende la marcia alla guida della sua milizia, che raggiunge rapidamente Voronezh, prima di proseguire per Lipetsk, incontrando resistenze limitate da parte dell’esercito regolare russo. Quando i battaglioni di Wagner sono ormai a 200 chilometri da Mosca ed è quasi sera, arriva, ancora una volta con un messaggio audio, il clamoroso dietrofront di Prigozhin: la rivolta è sospesa, i concentramenti delle sue truppe sono sciolti «per evitare spargimento di sangue russo».

Dietro lo stop del capo della Wagner a quello che sarebbe diventato di lì a poco un tentativo conclamato di colpo di Stato c’è una trattativa telefonica condotta con Vladimir Putin, stando alle sue dichiarazioni agevolata dal «mediatore» Lukashenko. Prigozhin si rende conto con ogni probabilità che l’ingresso a Mosca dei suoi uomini, pronta da ore allo scontro, non ha alcuna reale possibilità di successo. Putin, secondo quanto emerge nelle ore seguenti, gli offre in sostanza un salvacondotto: non sarà perseguito per le accuse di sedizione immediatamente contestategli in cambio dell’interruzione della rivolta e del suo esilio, per lo meno temporaneo in Bielorussia. I termini dell’«accordo», si capirà poi, prevedono di fatto anche l’esautoramento definitivo della milizia Wagner da ogni ruolo nel conflitto in Ucraina. Un esito che però, svela poi lo stesso Prigozhin, sarebbe stato già deciso settimane prima dai vertici russi di fronte ai toni sempre piaciuto minacciosi del boss – proprio questo lo avrebbe spinto in effetti a chiamare i suoi uomini alla rivolta. Dopo il fallimento dell’operazione, Prigozhin è dunque riparato in Bielorussia, dove lo hanno poi seguito un numero imprecisato di suoi miliziani. Caduto in disgrazia agli occhi del Cremlino, smantellati in patria il suo impero mediatico e la sua fabbrica di troll, oltre che il «mito» della milizia Wagner, il destino dell’ex amico-alleato di Putin è denso di incognite.

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